Gli spunti per ricamare sulla vita privata di Holmes certo non mancavano, dato che Conan Doyle lo aveva disegnato come un uomo riservato pieno di piccole manie. Wilder evita la banalità di un ritratto domestico, ma ha l’eccellente idea di far emergere gli aspetti privati tra le pieghe di un caso tipicamente holmsiano, che rivela la sua portata ironica e demistificante nel finale, quando Holmes capisce di essere stato usato dallo spionaggio tedesco. Di volta in volta vediamo così sulla scena un Holmes solo, depresso, misogino e omosessuale, idiosincratico e cocainomane, per nulla infallibile nelle sue deduzioni. L'omosessualità di Holmes è dichiarata quasi esplicitamente quando si rifiuta di assumersi la responsabilità di un bimbo, facendo notare che quando due uomini vivono insieme da "cinque felici anni", sono più che coinquilini. La scena più pungente rimane comunque quella della lettera, quando Holmes non riesce ad arguire il significato dei segni nella sabbia e pensa a dei pattini da ghiaccio, "se non fosse che manca del tutto il ghiaccio". Con questo piccolo capolavoro troppo spesso dimenticato, l'austriaco Wilder si diverte a dissacrare il mito di Holmes, certo, ma non va leggero nemmeno con il mito della regina Vittoria, ritratta come una vecchia ebete e stupidotta. Christopher Lee si ritaglia un bel cameo nella parte del fratello di Holmes.