Gatti rossi in un labirinto di vetro

1 settembre 2012

Come spesso succede nei gialli all’italiana, la cosa più bella del film è il titolo, suggestivo nel suo accostamento di colori, con l’aggiunta di una bestiola qualsiasi, immancabile dopo il successo della cosiddetta trilogia degli animali di Dario Argento (da Quattro mosche di velluto grigio a Gatti rossi in un labirinto di vetro il passo è davvero semplice).

E come in tutti i gialli di Umberto Lenzi, non mancano quelle cose esotiche tanto pruriginose per il mercato italiano dell’epoca solitamente chiamate lesbiche. Qui c’è addirittura una coppia fissa e mista, che divide la stanza d’albergo e persino il letto matrimoniale. Se non altro possiamo consolarci con il fatto che una volta tanto non hanno tendenze omicide, ma non si va comunque molto oltre i soliti stereotipi: le due si limitano infatti a stuzzicarsi, schiaffeggiarsi, farsi scenate di gelosia e tradirsi sfacciatamente rimorchiando altre donne in locali ambigui. La loro funzione è palesemente solo quella di provocare lo spettatore etero con scenette di erotismo soft: delle due sequenze loro riservate, una inizia su quella più adulta nuda a letto, che schiaffeggia poi l’altra dopo un litigio per farsi quindi perdonare baciandola e palpandola sul letto (ma il modo in cui fanno pace all’epoca lo poterono vedere solo i censori); l’altra si svolge in un locale dove quella di colore, Naiba, rimorchia una terza ragazza, provocante e oltremodo disponibile, ammiccando senza discrezione e scosciandosi scompostamente durante un ballo.

Naiba è “interpretata” da Ines Pelligrini, un’attricetta eritrea che aveva esordito nientemeno che in Il brigadiere Pasquale Zagaria ama la mamma e la polizia (1973), per ritirarsi a vita privata dopo Sono un fenomeno paranormale (1985). In mezzo a tanta carriera ebbe modo di lavorare un paio di volte anche con Pasolini, in particolare nel ruolo di Zumurrud ne Il fiore delle mille e una notte (1974).

Del film che dire? Raggiunge a stento la decenza e bisogna proprio essere molto, ma molto appassionati al genere per trovare qualcosa di buono in un giallo in cui persino il movente del killer è svogliato. Peccato che il labirinto di vetro sia solo nel titolo: sarebbe stata senz’altro la cosa più espressiva del film.

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