recensione diMauro Giori
Poison
Haynes costruisce questa sua prima opera come un esercizio di stile proteso a imitare forme, generi e singoli esempi di film, ad un tempo omaggiandoli e sbeffeggiandoli con tocco ironico.
Il primo episodio è girato nello stile di un tipico documentario-intervista, di cui deride la possibilità di cogliere la realtà attraverso un finale dai toni fantastici e vagamente mistici, mentre il secondo imita i b-movie di fantascienza degli anni '50, fin dalla scelta del bianco e nero. Il terzo, infine, è l'omaggio più diretto a Jean Genet, ai cui racconti il film è ispirato. "Homo" riunisce infatti la teatralità colorata del fassbinderiano Querelle (nei flashback ambientati nel riformatorio) alla sensualità dirompente ed esplicita di Un chant d'amour, nelle scene ambientate nel carcere, non a caso girate con una fotografia livida che sfiora un monocromatismo che rimanda alla fotografia in bianco e nero del corto genettiano.
Nell'insieme un film curioso, soprattutto per il suo polistilismo (i frammenti dei tre episodi vengono continuamente alternati), ma anche piuttosto epidermico, molto meno provocatorio e scontroso di quanto non si dica di solito.