Portami con te

1 agosto 2004

Sheri Joseph è una giovane americana che scrive divinamente e ha anche molte cose interessanti da dire. Il romanzo ci catapulta per l'ennesima volta nelle desolate praterie urbane del Nordamerica, dove la normalità quotidiana è intrisa di tranquilla disperazione e l'angoscia da fallimento personale è costantemente in agguato. In un clima di dramma incombente ci si aspetta che da un momento all'altro la situazione precipiti, che si verifichi un efferato omicidio in famiglia come quelli di cui grondano le cronache o che la follia rompa gli argini in qualche altro modo. Eppure, anche se i problemi e gli scheletri nell'armadio non mancano, succede qualcos'altro. Dell'infelicità si impadronisce la coscienza, man mano che le persone che soffrono scoprono che il loro star male può diminuire di molto facendo pace con se stesse. Imparano che il dolore può essere trasformato in qualcosa di costruttivo, anziché alimentare la consueta catena di Sant'Antonio di odi e annientamenti, e che la realtà è il prodotto delle relazioni concrete tra gli esseri umani invece che un irraggiungibile dover essere. La circostanza centrale che innesca il percorso di salvezza domestica di due normali famiglie americane (i Foster e i Ballard) è l'omosessualità di Paul, un ragazzino seduttivo e ribelle che appena può scappa a battere nei parcheggi, dove si fa arrestare per adescamento. Questo costringe tutti a cambiare. La mascolinità e i ruoli familiari entrano in discussione e una pagina dopo l'altra, senza miracoli né rivoluzioni, si tenta di trovare un equilibrio migliore, in cui più o meno tutti riescano a darsi una seconda possibilità.
La collettiva crescita interiore è di genere indiscutibilmente femminile, perché sono le donne a spingerla avanti e perché negli uomini la crescita consiste proprio nel saper convivere con un'immagine di sé non chiusa alla femminilità.
E cosa ci dice la polifonia femminile di questo libro? Che le donne hanno cura del mondo (anche se sono inadeguate e piene di difetti quanto gli uomini) e si sforzano di ripararlo là dove l'antropologia maschile oscilla pericolosamente tra l'aggressività e la fuga. A pensarci bene è la stessa differenza che passa tra una politica di pace e una strategia di guerra. Forse il mondo può ancora cambiare in meglio, anche se la felicità non dovesse esistere.
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