Picturing Health and Illness

6 settembre 2004

Gilman ha studiato per anni la storia della percezione del corpo, cioè delle modalità secondo le quali a determinate condizioni sociali (per esempio razziali) sono stati associati una serie di stereotipi fisici. Nel corso di numerosi libri Gilman si è occupato, per esempio, del corpo dell'ebreo e di quello del malato, come in questo caso. Lo scopo fondamentale di questo libro è dimostrare come nella nostra società si sia fissata rigidamente un'equivalenza tra bellezza e salute, e tra bruttezza e malattia (non solo fisica, ma anche mentale), propagandata anche dalla medicina, soprattutto a partire dal XIX secolo.

Nell'ultimo capitolo del libro Gilman mostra in modo convincente come tale equivalenza, lungi dall'essere stata superata, è ancora vivissima nella cultura contemporanea. Banco di prova sono i manifesti di numerose campagne di prevenzione contro l'AIDS. Gilman ne ha esaminati circa settecento (una quarantina dei quali sono riprodotti e analizzati nel volume, e di essi una decina sono destinati a un "pubblico" gay) e dal suo lavoro di analisi conclude che non solo l'associazione di bellezza e salute è ancora quasi assoluta, ma anche che in questi manifesti la malattia è paradossalmente pressoché bandita, o è rappresentata indirettamente tramite stereotipi che risalgono almeno a un secolo prima, mentre la morte non vi ha spazio se non in forma astratta o simbolica. Il punto è che i manifesti della prevenzione dell'AIDS normalmente puntano a "vendere un nuovo prodotto - il sesso sicuro" (p. 120) e per farlo devono puntare sulla salute, non sulla malattia, e anzi spesso si sforzano di eccitare - per indurre alla consumazione - tramite l'esposizione di corpi belli (ergo non malati) ricorrendo ai più comuni stereotipi della sessualità e persino di un certo malcelato razzismo.

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