Sangue dannato. Un intenso spaccato di vita.

Rencensione di Marino Buzzi per Anobii, riedita per gentile concessione dell'autore.


Devo parlare di un libro e lo devo fare subito prima che i pensieri che affollano la mia mente si sovrappongano e si confondano. Come sapete amo un certo tipo di letteratura, a volte mi maledico per i libri che scelgo, spesso vado ad intuito, non ho nulla contro la letteratura d'intrattenimento ma io amo quella che riesce a darmi emozioni forti.
La fascetta sul libro che ho scelto, per una volta, ha l'onestà intellettuale di non urlare al capolavoro, di non paragonare l'autore a nessun altro grande della letteratura, di non parlare di caso letterario. È una fascetta rossa con una scritta in bianco che dice così: "Sopravvivere all'AIDS. Tra romanzo e saggio, una dura e commovente testimonianza sull'omosessualità e sulla malattia che ha sconvolto le relazioni negli ultimi trent'anni".

Il libro in questione è di Alexandre Bergamini, il titolo è Sangue dannato, edito da Barbès ( traduzione di Sylvia Zanotto, 256 p. 14 euro). È difficile parlare di questo libro, lo è soprattutto se si è vissuto, attraverso la violenza mediatica degli anni ottanta prima e dell'oblio mass mediale dagli anni novanta in poi, la tragedia e l'esasperazione del percorso della malattia chiamata AIDS.

Bergamini traccia, attraverso una narrazione in bilico fra narrativa e saggistica, i punti salienti della sua crescita: un padre paranoico, silenzioso, chiuso, una madre che ha tentato per due volte il suicidio, un fratello maggiore che muore suicida, il suo peregrinare in giro per il mondo, la sua passione per l'Africa e, su tutto, il suo rapporto con il sesso che diviene, senza essere descritto nei minimi dettagli, ossessione, bulimia e, infine, malattia.

L'autore, dopo aver dichiarato la propria omosessualità in famiglia, viene cacciato dal padre. Inizia una vita al limite, fatta di incontri, di fughe, di povertà. È giovane negli anni in cui l'HIV si affaccia sul mondo con tutta la sua carica esplosiva.

Sono anni di grande confusione e falsità, i mass media e la chiesa spingono per una colpevolizzazione di omosessuali, prostitute e tossicodipendenti.

Oggi sembrano anni dimenticati, come tutte le cose negative sono stati in qualche modo rimossi dall'immaginario collettivo. Eppure la campagna diffamatoria che la Chiesa e una certa politica portarono avanti in quegli anni dovrebbe diventare materia di studio. L'Hiv non era percepito come un virus potenzialmente pericoloso per tutti, ma solo per alcune categorie considerate "dannate", quelle che, secondo i dogmi ecclesiastici, andavano contro natura. Una peste divina che colpiva solo i reietti della società colpevoli, secondo la Chiesa, di cercare di sovvertire "l'ordine naturale" delle cose.

La storia ci ha insegnato che l'ignoranza di queste posizioni ha contribuito a far sì che le persone eterosessuali si sentissero al sicuro da questa malattia e continuassero a contagiarsi. Le persone omosessuali erano trattate come appestate, untori della malattia divina e l'odio e l'ignoranza di certe posizioni gettavano benzina sul fuoco.

L'autore fa interessanti collegamenti con il periodo nazista (per sottolineare le similitudini con certi comportamenti razzisti e violenti) e non solo. Mette in evidenza lo scandalo delle trasfusioni di sangue. Anche quando si scoprì il virus, si preferì tacere e vendere il sangue a paesi come la Cina. E, ancora, accenna agli interessi farmaceutici nei confronti di questa malattia. Le persone sieropositive venivano escluse dalla società, la confusione e la paura avevano la meglio sulla ragione.

Le ricerche scientifiche hanno fatto passi da gigante, oggi le persone sieropositive conducono vite (quasi) normali grazie anche ai farmaci. Allora, negli anni ottanta, si moriva come mosche.

Bergamini attraversa questi anni di paura da spettatore e consapevole protagonista, vede i suoi amici morire, è impegnato nella creazione di un'associazione per la prevenzione dell'HIV eppure è incapace di proteggere se stesso.

Si apre, all'interno del libro e della mia vita (non da ora, ma ogni volta che leggo libri del genere si acuisce in me il senso di isolamento su alcuni temi), una profonda riflessione sul mondo maschile e sulla sessualità. Non esistono grosse differenze fra i maschi omosessuali e i maschi eterosessuali, gli stereotipi che ci vogliono più dolci, ecc... sono, appunto, inutili stereotipi. A me basterebbe che fossimo più consapevoli, ma non è così.
La verità è che siamo, forse, solo meno ipocriti e che molti di noi hanno una concezione più "aperta" del sesso.

Dico aperta (fra virgolette) e non libera perché la libertà è ben altra cosa. Quel che mi sono abituato a vedere nel corso degli anni è una dipendenza del maschio dal sesso. Dipendenza che riguarda sia omosessuali che eterosessuali. Parlo del mondo gay perché è quello che conosco meglio.

Passo spesso per un freddo bacchettone, come se a me il sesso non piacesse. In realtà, se posso essere sincero, un certo modo di fare sesso mi provoca una profonda tristezza. Non provo piacere negli incontri di qualche ora, non mi sono mai interessati gli amplessi del sabato sera. Mi piace tutto quello che c'è prima. Il gioco, gli sguardi, l'approccio, la fantasia, l'attesa del bacio. Chiudermi in una stanza buia e calarmi i pantaloni in attesa di un volto che non vedrò non mi interessa.

Non ne voglio fare una questione di morale, è una questione di punti di vista. La sessualità non è una linea retta, come affermava Kinsey, ognuno la vive come meglio crede. Ciò che manca è la consapevolezza. Oggi ancor più di ieri.

Una volta mia nipote mi ha detto che una sua amica pensava che bastasse prendere la pillola per difendersi dalle malattie sessualmente trasmissibili. Viviamo in una società estremamente contraddittoria, sessuofoba, omofoba e misogina in cui, però, l'ossessione per il sesso e per il corpo (inteso come oggetto da vedere, mostrare, usare) impera su tutto.

Ognuno può scaricare pornografia di ogni genere con una facilità esasperante, il sesso ci viene sbattuto in faccia in ogni luogo, dalla televisione, alla letteratura.

Eppure non esiste la consapevolezza del sesso. Non esiste l'educazione sessuale, l'ignoranza, in questo mondo di sesso, è estrema.

Dopo la paura e la cattiva informazione degli anni ottanta l'HIV ha smesso, da un punto di vista mediatico, di esistere. Oggi è una malattia di cui non si ha consapevolezza nonostante il numero dei nuovi infettati, ogni giorno, sia allarmante.

È passata l'idea che l'HIV è come un raffreddore, tanto ci sono le medicine che ti permettono di portare avanti una vita quasi normale.

Ma l'HIV c'è e ha un costo sia a livello umano che economico. Basterebbe continuare a fare prevenzione, basterebbe ricominciare a parlare di sessualità, di rispetto, di educazione.

In questo senso il libro di Bergamini, pur essendo un libro difficile (un libro che mi ricorda a tratti l'esasperazione di Genet) è un libro importante, una finestra sul passato e sul presente che ci ricorda un periodo storico che oggi viene rivalutato mediaticamente puntando tutto sulla spettacolarizzazione della musica e della moda di allora.

Aggiungo, infine, la polemica libraria. Il libro di Bergamini è un libro scomodo, un libro che non troverete impilato nei banchi centrali delle librerie, anzi, forse faticherete anche a trovarlo in libreria.

È questo il vero dramma delle librerie di questi ultimi anni. Facile trovare libri che si dimenticano in poche ore. Difficile trovare libri che hanno ancora una ragione d'esistere.

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