Le invasioni barbariche

6 febbraio 2005, "Babilonia", n. 228, febbraio 2004

Premiato a Cannes per la sceneggiatura (assieme al premio come migliore attrice per Marie-Josée Croze), Le invasioni barbariche è un bellissimo film di Denys Arcand, divertente e struggente nello stesso tempo.

I personaggi sono quasi tutti gli stessi de Il declino dell’impero americano, il film del 1986 con cui Arcand – il regista del film gay La natura ambigua dell’amore – conquistò la notorietà, ma non ne è un vero e proprio sequel. In quello, un gruppo di professionisti si riunisce in una bella giornata autunnale nel Québec per una cena in una casa di campagna, 4 uomini da una parte e 4 donne dall’altra; tutti parlano quasi ossessivamente di sesso e di trasgressioni, ma poi, quando i due gruppi si riuniscono, nessuno riesce a mettere in pratica la libertà sessuale tanto decantata a voce, mostrando invece idee conservatrici e repressioni omosessuali.

Qui lo stesso gruppo si riunisce, prima in una clinica e poi in una casa sul lago, per rendere più sopportabili gli ultimi momenti di vita di Rémy (l’ottimo Rémy Girard), alle prese con una malattia irreversibile e succube dell’eroina per lenire i dolori. Rémy, “socialista concupiscente” che ha assaggiato il meglio della vita, è divorziato da Louise (Dorothée Berryman) e ha un figlio, Sébastien (Stéphane Rousseau), molto diverso da lui – rampante nel mondo della finanza e puritano nelle idee – e che non vede da anni. Su richiesta della madre, Sébastien raggiunge il padre e per farlo contento, riunisce ancora una volta il suo gruppo di amici (uno dei quali è gay), la cui visione del mondo è ovviamente cambiata rispetto a quindici anni prima: non c’è più l’edonismo di un tempo, ma solo la coscienza serpeggiante e amara del tempo che è passato e di un mondo che sta cambiando velocemente e in peggio. Il film è costruito, proprio come l’altro, coralmente, su dialoghi brillanti e battute sferzanti (una delle quali anche contro Berlusconi) che evidenziano la confusione assoluta dei nostri tempi e il senso di sbandamento che prova la nostra società occidentale. Come nell’altro film, Arcand riesce a mettere in luce la disperata incapacità di vivere di quei personaggi e nota come la società americana (così come forse tutti i nostri paesi occidentali), vista da un avamposto di confine come il Canada, sia ormai conquista dei “barbari” che premono, cercando di sfondare, ai suoi confini. Un tema non originale (anni fa il premio Nobel per la letteratura, il sudafricano J.M Cotzee, lo trattò nel suo Aspettando i barbari) ma portato avanti con umanità e cognizione di causa.
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