recensione di Mauro Giori
Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave
Martino tenta questa volta la strada di una contaminazione fra Psycho (lo scrittore fallito edipico ancora eroticamente ossessionato dalla memoria della madre, con la quale si dice dormisse ancora da grande) e Il gatto nero di Poe, con l’aggiunta – fra l’altro – di un’Edwige Fenech che si infila fra moglie e marito con la sportiva disponibilità che le deriva dall’aver frequentato una comune di Parigi. Come sempre in questi film, la rivoluzione sessuale si traduce semplicemente in una gran baldraccaggine, cosicché la giovine fanciulla si concede sia all’uomo (negli abiti della madre) sia alla donna, assecondando tanto l’erotomania del primo (e dello spettatore medio di questi film, sempre idealmente eterosessuale) quanto l’isteria della seconda.
I killer che si alternano sono alla fine tre e non manca il colpo di scena, anche se quello finale è troppo scontato visto che il debito da Poe è evidente sin dall’inizio.