recensione diDaniele Cenci
Teleny [1893]. Un ritratto di Dorian "Gay"
Due ventenni s'incontrano ad un concerto ed è colpo di fulmine, secondo tutti i canoni dell'amour fou: "Avrei voluto scrivere il suo nome sulla ghiaia della spiaggia per far conoscere all'oceano il mio amore, perché lui lo mormorasse in eterno".
Camille De Grieux racconta "una naturale passione dei giorni nostri" (A physiological romance of today, recita con piglio positivista il sottotitolo), cioè l'irresistibile attrazione che lo ha spinto tra le braccia di René Teleny, pianista dal fascino zingaresco.
Teleny, capolavoro della letteratura omoerotica, è pubblicato clandestinamente in 200 esemplari nel 1893: appena due anni dopo Wilde avrebbe dovuto subire un'infame condanna ai lavori forzati e alla morte civile.
Il Maestro irlandese in realtà ha solo coordinato e rifinito un'opera a più mani, che doveva restare nell'ambito di una ristretta cerchia di amici. La Londra del 1890 in cui si consuma la storia - mal dissimulata in una Parigi dal gusto simbolista - è evocata nei suoi circoli esclusivi, nelle folli feste e nei rischiosi luoghi di incontro.
Lo stile ci restituisce la gioia liberatoria del sesso ed è solo a tratti ridondante: il piacere viene scandito sino all'acme con una calibrata, ipnotica regia che nulla tralascia. Ma quel senso di sazietà e noia che a volte ci sorprende nella letteratura porno qui è scongiurato da un continuo gioco di rimandi culturali, di ricercate allusioni.
E così, dopo un amplesso interminabile, Camille dona a René (come per un tragico presentimento) un antico cammeo "intagliato squisitamente, circondato di brillanti, che rappresentava la testa di Antinoo" (l'adolescente immolatosi per amore dell'imperatore Adriano).
Il lettore viene catturato dall'elettrizzante, onirico parossismo del racconto, col suo dispendio di copule e orgasmi, "nella meticolosa anatomia, in questi movimenti, in queste superfici e flussi, in tutto questo paesaggio del corpo della dimensione di un giardino alla giapponese" come osserva Foucault (1978) a proposito di My secret life, sterminata autobiografia erotica del bibliofago Ashbee.
In Teleny il linguaggio sa essere a volte di una straniante precisione, come nello stupro della serva sedicenne o nelle acrobazie d'un giovane e temerario ufficiale impegnato, tra l'altro, a farsi penetrare con una bottiglia.
La nebbiosa Londra - magistralmente evocata da Dickens e poi da Conan Doyle - sotto il regno della puritana Victoria (durato 64 interminabili anni: 1837-1901) fa da scenario a una trama che risente della passione di Wilde e amici per i grandi dandies e i mostri sacri della letteratura decadente europea.
Ma si percepisce pure la suggestione di testi "sulfurei", come Sins of the cities of the plain (1881) d'analoga ambientazione omoerotica: i "Peccati delle città della piana (Sodoma e Gomorra)" - avrebbero ispirato più in là Proust.
Lo stesso C.-H. Hirsch, editore nel 1934 della versione integrale francese di Teleny, afferma di aver procurato Sins… a Wilde in persona nel 1889, insieme ad altre rarità (come Alcibiade fanciullo a scola).
Spesso in Teleny affiora un'urgenza militante - alla Ulrichs, per intenderci - quando ci si scontra con la feroce omofobia della società: "Come potevo aver commesso un delitto contro natura se la mia stessa natura vi trovava la pace e la felicità?".
Non è raro imbattersi in passi di un'estrema modernità, come la marionetta disarticolata evocata da Camille nel suo kafkiano ritratto di un contabile della ditta in cui lavora: "Era un fossile commerciale, una specie di macchina vivente; invecchiato in ufficio, tanto che le sue giunture scricchiolavano come cardini arrugginiti… La vita per lui aveva un unico scopo: fare calcoli senza fine".
I nomi dei protagonisti sono intrisi di reminiscenze classiche, e - nomen omen - fanno presagire il loro destino.
A Roma camillus era l'adolescente che assisteva il sacerdote nelle cerimonie; il cognome Teleny allude ai fichi neri (telanae ficus) e al pugnale (telum) del gran finale. Ma dal momento che telos (stavolta in greco) significa pure "mistero, fine della vita", si chiude il cerchio simbolico: Camille De Grieux è destinato ad assistere impotente all'estremo sacrificio di René Teleny, alla sua autodistruzione.
"Se non lasciate il vostro amante Teleny, sarete denunciato come enculé" è l'anonima minaccia con cui il pittore Bryancourt tenta d'incunearsi nella loro relazione.
E Camille nel rievocare il ricatto: "Che dovevo fare? Essere proclamato sodomita di fronte al mondo, perseguitato e forse condannato, o separarmi dall'uomo che mi era più caro della vita stessa?".
Come per Pasolini ne La divina mimesis, qui sembra prefigurata l'atroce sorte che toccherà allo stesso Wilde: il processo, da lui intentato al padre del suo Bosie per averlo "diffamato" col noto biglietto "Ad Oscar Wilde che posa da sodomita", gli si rivolgerà contro.
Nel romanzo il pittore, scoperto, per farsi perdonare svela il suo desiderio di ritrarre René per due dipinti "a confronto": Gesù con l'amato discepolo Giovanni (e la Maddalena); Socrate col favorito Alcibiade (e Santippe). E anche in questo miscere sacra ac profana, fondendo eredità classica e cristianesimo nel nome dell'"amore che non osa dire il suo nome", riconosciamo la pennellata graffiante di Wilde contro i sepolcri imbiancati che lo perseguiteranno di lì a poco.
Camille, stanco delle infedeltà di René, sta per gettarsi da un ponte, maledicendo "la nostra società ottusa dove prosperano solamente gli ipocriti e i mentitori, la religione frustrante che pone il veto su tutti i piaceri della vita". Viene salvato proprio dall'amato, "un angelo di luce" che lo fissa coi suoi occhi profondi, tristi e pensierosi.
Di fronte a tanta sovrumana bellezza, Camille sente di ardere ancora, come "i nati sul suolo vulcanico di Napoli o sotto il sole cocente d'Oriente", e preferirebbe l'inferno di Brunetto Latini, "un uomo che amava altri uomini", allo sterile paradiso del discepolo Dante che ce l'aveva relegato.
Si riaccende la passione per l'incostante René: gli cresce nel sesso e sale fino al cervello un bisogno "che fa sentire agli esseri umani di nuotare nell'allegria", come un dio che dentro di loro crei le ali con cui sollevarsi da terra.
Durante le cene e le orge a casa del pittore Bryancourt, Camille realizza che uomini "dall'intelligenza più grande, dal cuore più generoso, dai sentimenti del più puro estetismo" amavano come lui alla maniera di Socrate, e sperimenta il calore di una "geniale confraternita" rinsaldata dagli stessi desideri e sentimenti.
L'ennesimo, fatale tradimento di René con una persona neppur lontanamente sospettabile e un rocambolesco finale "alla Manon Lescaut" (Camille ha lo stesso cognome di un personaggio del dramma di Massenet) suggeriscono questa metafora: "La vita, a volte, perde il senso della realtà. Ci appare come una strana illusione ottica, una bolla di sapone fantasmagorica che può svanire al minimo respiro". In questa limpida massima traspare la cifra più autentica dell'autore de Il ritratto di Dorian Gray.
Tranne impercepibili ritocchi e la suddivisione in otto capitoli (rispetto ai sei della precedente stampa), vengono riproposti - in una nuova, prestigiosa veste - la traduzione di Violetta De Simone, edita da Savelli nel 1980, e l'esaustiva indagine che l'accompagnava: Anonimo vittoriano di Franco Cuomo [poi autore di un originale saggio Elogio del libertino (1982 & 1993)].
Nel rimettere in circolazione in Italia dopo un quarto di secolo questo romanzo corale, l'editrice ES ha preferito indicare "Wilde e altri" come autori, eliminando il punto interrogativo che ha accompagnato in precedenti edizioni - spesso clandestine e, per giunta, purgate - il nome del genio irlandese.
Stavolta si è scelto - peccato - di non evidenziare più in corsivo (come era stato fatto nel 1980) i passi censurati nella riedizione inglese del 1967, all'epoca reintegrati grazie alla certosina e plurilingue cura della De Simone, ricorrendo alla fedele versione francese del 1934 (ristampata da Regine Deforges nel 1976).