La Chiesa non risponde

13 marzo 2005, Gay.it, 15/08/04

Si tratta di un libro che denuncia la morte della teologia e il silenzio della Chiesa su alcune questioni aperte del cattolicesimo e della vita cristiana. La prefazione è di Marco Politi (che nel 2000 pubblicò La confessione. Un prete gay racconta la sua storia).

Scopo del libro - che l’autore stesso definisce difficile e pericoloso (pag. 14) - è quello di


riportare domande che sono variamente poste, spesso anche da gente che non conosce la teologia nel suo rigore, ma che pure ha fede, o interroga la fede, o è in cammino verso la fede (pag. 23, nota 1)


e di fornire delle risposte che non siano prefabbricate (pag. 9). Nella prefazione Politi afferma che le domande che l’autore - teologo ed autore di libri di successo - si pone,


sembrano tante, ma in ultima analisi credo che i problemi in gioco si possano laicamente ridurre a tre, ognuno aperto a sviluppi che interessano altre tematiche. Il concetto di potere. Il concetto di natura. Il concetto della ragione (pag. 7).


E fra le domande alle quali Benazzi cerca di dare risposta ce ne sono diverse che riguardano il mondo omosessuale. Dopo una risposta più che altro filosofica, sul tema della "natura" e sulle sue conseguenze - legge di natura, diritto naturale, metodi naturali, peccati contro natura… - (pagg. 68-73) e un accenno veloce alle coppie di fatto (considerate solo nell’ottica eterosessuale) (pagg. 93-97), l’autore tenta di rispondere a delle domande che riguardano direttamente l’omosessualità.

La prima è così formulata:


Tra giri e rigiri di parole, tra pastori che “comprendono” e altri che “non transigono”: i conviventi, gli omosessuali, i transessuali, sono ancora considerati pervertiti, immorali e “contro natura”? (pagg. 98-101).


L’autore con amarezza nota che, purtroppo, a questa domanda la Chiesa risponde in maniera molto precisa, con un sì categorico. E dice che fuori dalle dinamiche proprie della chiesa istituzionale


le voci di alcuni pastori e confessori parlano diversamente; e ciò ingenera confusione e, soprattutto, speranze (inutili?). La speranza che la parola del Magistero non sia ancora definitiva; la speranza che abbiamo udito male; la speranza che un giorno la Chiesa sarà più aperta. Siamo cresciuti con queste speranze. Ma non si può restare ancora a lungo e in attesa (pag. 98).


Interessante la domanda - e la relativa risposta - sul perché la Chiesa faccia discriminazioni riguardo alle tendenze sessuali (pagg. 101-105). Benazzi, per rispondere, esorta a rileggere l’episodio biblico di Sodoma, che è


il luogo in cui un intero popolo vuole “abusare di un angelo”. Si torni a leggere per bene quel testo, tanto citato e, come spesso accade, poco conosciuto: il vero abitante di Sodoma è colui che usa violenza nel mondo dello spirito […] Ci sembra che la domanda sulla discriminazione delle tendenze sessuali andrebbe ripensata e riproposta in modo diverso, per essere più chiara e più leggibile; e non parlando, se possibile, di differenze fra le “tendenze sessuali”, ma di “modalità sessuali della relazione”, che possono essere omo ed etero, ma sempre nel rispetto dell’altro (pagg. 102-103).


Citando vari documenti del movimento omosessuale europeo, poi, fornisce elementi per rispondere alla spinosa domanda:


Che dire alle persone omosessuali? Che la condanna di Sodoma è ancora viva? O ribadire che la Chiesa distingue fra omosessualità (che condanna) e tendenza omosessuale (che comprende)? E come farebbe a distinguere? (pagg. 105-113).


Affronta poi il problema dell’uso dei preservativi per frenare l’AIDS (pagg. 113-116), e torna a parlare dell’omosessualità, soffermandosi in modo particolare su quella dei preti e delle monache, dei monaci e delle monache (pagg. 176-179) e sull’eventuale “scandalo” di essere prete e gay (pagg. 179 -181).

Un libro provocatorio e anche coraggioso. Un libro che non dà risposte, quello di Natale Benazzi, perché le domande che si pone si collocano in una traiettoria di presente-futuro del cattolicesimo. Un libro che, seppur nella limitatezza di un “prontuario” che ricorda molto - troppo! - i testi di catechismo, ha senza dubbio il merito di far pensare, e di aprire, si spera, una discussione all’interno della Chiesa, intesa come comunità di persone e non come gerarchia di poteri. Un libro che contiene dei forti asserti, grondanti speranza. Con uno di questi concludiamo:


Quando vescovi, parroci, suore, segretari dei consigli pastorali, catechisti siederanno a tavola con divorziati, prostitute, conviventi e gay; quando vi siederanno non perché costoro hanno deciso di redimersi, ma semplicemente perché li vogliono incontrare, perché li vogliono ascoltare senza paure - quando Gesù sedeva tra i pubblicani e le peccatrici, non aveva paura! –: allora nascerà nella Chiesa un modo diverso di porsi le domande sui figli che abitano i confini fra Legge e Passione. Quei confini saranno sempre sottilissimi; poiché sottile è la distanza tra la Giustizia e l’Amore. Il Vangelo non è mai ambiguo; eppure, nella risposta che Gesù dà alla peccatrice – “Ti è stato molto perdonato, perché hai molto amato” - vi è una sottile indeterminatezza: dove aveva abitato quel “molto amore”? (pag. 112).

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