recensione di Mauro Giori
L'iguana dalla lingua di fuoco
Tra i film di genere di questi anni, per loro natura solitamente confezionati con una certa fretta, si possono trovare esiti anche più sconclusionati della media, al punto che i loro stessi registi rifiutano di apporre la firma all’opera conclusa. È il caso di questo L’iguana dalla lingua di fuoco, ennesima imitazione (nel titolo) dell’Uccello dalla piume di cristallo di Argento e a tal punto sconnesso da risultare oscuro persino nei moventi dell’assassino (anzi, degli assassini, e soprattutto di quello del primo delitto, che rimane inspiegato).
Killer che, ci informa il padre alla fine, è «sempre stato un anormale. Ci odiava, odiava tutti quelli che secondo lui erano felici oppure fortunati. Nella sua follia voleva distruggerci». Questo dovrebbe spiegare perché, prima di uccidere le belle donne le sfigurava con l’acido. Peccato che è anche quello che ha fatto, per motivi appunto misteriosi, il padre stesso, scatenando la follia del figlio secondo lo psicanalismo più banale. L’anormalità del giovane in questione è poi lasciata nel vago, ma non può che essere ricollegata al fatto che si presenta in scena solo un paio di volte accompagnato da un ragazzo a spillare soldi ai ricchi genitori. Basta poi fare la conoscenza della madre debosciata (la solita Valentina Cortese lasciata libera di ondivagare sulle sue battute), che si trascina per tutto il film da un divano all’altro, per capire donde sarebbe probabilmente dovuta venire tutta questa diversità, se ci si fosse posti il problema di “spiegarla”.
Non è nemmeno l’unico personaggio “ambiguo”: sembrerebbe infatti che anche il maggiordomo di casa abbia gusti particolari, come vorrebbe suggerire una confusa sequenza in una sauna dove organizza una festa per soli uomini ingaggiando fra l’altro una marchetta che finirà accoppata (ho rinunciato a comprendere i motivi, ma viene servita nuda su un letto di rose con la scusa di coprirne lo squarcio alla gola, però in bella visita…).
In questi film di solito l’omosessualità è un tanto frequente quanto gratuito espediente per insinuare colpe e sospetti o generare ansie rispetto alle nuove generazioni, ai costumi delle metropoli e o a quelli dell’alta borghesia molle e lasciva. Lo è ancora di più in questo caso, dove è buttata nel calderone degli elementi oscuri dell’intreccio senza uno sviluppo (fosse anche solo secondo gli stereotipi più abusati) che le possa dare una parvenza di necessità e di senso. Rimane così un puro e semplice luogo comune nella sua equiparazione sostanziale all’instabilità emotiva e alla tendenza omicida.