recensione diMauro Giori
I nervi a pezzi
Diretto da Roy Boulting, musicato da Bernard Herrmann e scritto dal regista insieme all’eccentrico Leo Marks, Twisted Nerve è stato da subito ricevuto come un film hitchcockiano e liquidato come una semplice variazione sulla psicopatologia criminale divenuta di moda negli anni Sessanta sul modello di Psycho (1960). In realtà il film ricalca anche l’ambientazione di Peeping Tom (1960), che Marks aveva scritto per Michael Powell proprio mentre Hitchcock lavorava al suo primo “shocker”, ed è stato sin troppo bistrattato, anche per via di un’infelice descrizione della sindrome di Down, che sarebbe clemenza definire politicamente scorretta.
Ad ogni modo, il caso clinico riguarda però Martin, adolescente dalla doppia personalità, orfano di padre e con una madre opprimente che ne ha evidentemente bloccato la crescita provocandogli consistenti problemi di carattere sessuale.
In due sequenze si indugia nel far notare allo spettatore che Martin legge riviste di culturismo. Nella seconda, Martin si avvicina allo specchio, si spoglia e si accarezza mentre la macchina da presa panoramica sul tavolino a fianco per mostrare quattro di questi giornali, dispiegati in bella evidenza accanto a un orsacchiotto. Il montaggio stacca sulla madre, mentre il patrigno fuori campo esclama: «He’s not normal» (una battuta generica rispetto a quanto abbiamo già saputo del ragazzo, ma che evidentemente vuole suggerire più direttamente una chiave di lettura per l’inquadratura precedente). Un rumore di vetri infranti ci riporta da Martin, che ha rotto lo specchio proprio in coincidenza del riflesso dei propri genitali.
Tutto è così orchestrato per suggerire una possibile omosessualità (le riviste) di Martin tramite una regressione al narcisismo (la masturbazione davanti allo specchio), inteso psicoanaliticamente come stadio infantile (l’orsacchiotto). Tuttavia, non si tratta che di una delle molte letture possibili suggerite lungo tutto il film, accanto a impotenza, anafettività, misoginia, senso di inferiorità rispetto all’ideale maschile egemone, psicosi, turbe ereditarie e persino semplice messinscena della propria patologia (tutto sommato nel tempo libero il ragazzo legge Krafft-Ebing).
Ne emerge un caso più indeciso che conturbante. Allo spettatore è lasciata così la possibilità di sguazzare nel repertorio psicosessuale doviziosamente catalogato dalla psichiatria, mentre il film si limita a indebitarsi con quelle che erano ormai dinamiche psicopatologiche già popolari grazie all’enorme successo del film di Hitchcock. L’importante è suggerire che Martin ha qualche problema: perché sceglierne uno in particolare quando li si può mettere in campo tutti?
Invecchiato ma non privo di elementi interessanti, senza contare l'ipnotico motivo di Herrmann ripreso anche da Tarantino in Kill Bill (2003).