Se babbo Lando e mamma Rai

30 marzo 2005, "Pride", n. 68, febbraio 2005, con lo pseudonimo Paolo Belmonte

L'ex "merlo maschio" Lando Buzzanca interpreta in televisione il ruolo di un commissario con un figlio gay e sbanca l'Auditel. Soddisfattissimo il movimento glbt. Lividi invece i commenti di An, il partito a cui da sempre è iscritto Buzzanca, perché "rappresentare in maniera normale le persone omosessuali rischia di legittimare il mondo gay".

Adesso sì che possiamo dire che l'omosessualità è entrata nelle case degli italiani dalla porta principale. Anzi, con la fiction Mio figlio, diretta da Luciano Odorisio e trasmessa in prima serata su Raiuno il 9 e il 10 gennaio, possiamo dire che è stata addirittura ammessa nel tempio della famiglia italiana. La storia racconta di un padre macho e commissario (Lando Buzzanca) che impara ad accettare l'omosessualità del figlio (Giovanni Scifoni), anche lui poliziotto, e i dati Auditel l'hanno gradita parecchio, registrando in entrambe le serate oltre otto milioni di spettatori e uno share intorno al 30%. L'hanno apprezzata molto, comunque, anche gli addetti ai lavori (leggi movimento gay), che si sono prodotti in torrenti di elogi quasi imbarazzanti. "Noi genitori", ha commentato per esempio l'Agedo, "riconosciamo che finalmente i nostri figli omosessuali sono stati rappresentati senza stereotipi e retorica". La pasionaria glbt Imma Battaglia, per non essere da meno, ha esclamato: "Bravo Buzzanca e bravo Odorisio. Queste due serate valgono come trent'anni delle nostre battaglie". Andrea Benedino e Anna Paola Concia, del coordinamento omosessuali Ds, si sono prodotti invece in un lungo elogio in tandem sull'"Unità", con affermazioni come questa: "Noi, che sulla nostra pelle abbiamo vissuto quello che viene descritto nel film, ma che soprattutto ci battiamo ogni giorno per l'affermazione dei diritti degli omosessuali e contro le discriminazioni, possiamo dire che Mio figlio ci ha dato una grande mano".

Il motivo di tante lodi è presto detto: il film dà per assodato che avere un figlio gay, per quanto possa apparire complicato, non è un motivo di disonore né una colpa. Lo è, al contrario, non accettarlo. Il personaggio interpretato da Buzzanca, il commissario Vivaldi, è costretto dai casi della vita a mettere in discussione la sua superficiale ideologia machista e a comprendere per amore quello che prima si rifiutava di capire. Finché non è pronto a sfoggiare il suo bravo orgoglio paterno con il collega omofobo che dice che "se si viene a a sapere che un poliziotto è gay, la polizia non ci fa una bella figura". Babbo Buzzanca risponde: "E pensi che faccia bella figura ad avere degli stronzi come te in servizio?". Se lo tengano per detto, e imparino a comportarsi come si deve, le legioni di "stronzi" che tra i ranghi delle forze dell'ordine ancora pensano che fare battute razziste, se non di peggio, nei confronti degli omosessuali sia una cosa simpatica e un modo del tutto normale di comprovare la propria virilità sempre in cerca di conferme.

Il più contento di tutti, in ogni caso, è Lando Buzzanca. Proprio a lui, che negli anni settanta costruì la propria carriera con i film di serie b in cui interpretava la caricatura del maschio latino, rimanendo poi inchiodato al cliché dell'allupato senza cervello, ha avuto infatti la soddisfazione artistica di chiudere il cerchio sulla parabola storica del maschio italiano, che per forza di cose in pochi decenni è dovuto maturare più di quan to non fosse riuscito a fare in diversi millenni: se solo trent'anni fa era come da tradizione uno spensierato monumento al testosterone, da grande ha imparato a fare i conti un po'meglio con una realtà che non prevede più la superiorità maschile come premessa inevitabile della convivenza sociale. "Sono contento", ha dichiarato Buzzanca, di aver stracciato quel cliché del 'merlo maschio con il quale avevo paura di invecchiare".

Tra il serio e il faceto, l'attore ha anche spiegato di comprendere bene gli omosessuali, perché sono persone discriminate dalla società come lui lo è stato nel corso della sua carriera per via delle sue note simpatie politiche di destra. Eppure, questa volta, gli unici che hano dato dei dispiaceri a Buzzanca stanno a destra. Anzi, proprio in An, il partito che Lando sostiene fin da quando si chiamava ancora Msi. "Il Secolo d'Italia", organo ufficiale di An, ha recensito "Mio figlio" con molte riserve, spiegando che rappresenta "in maniera normale le persone omosessuali, rischiando di legittimare il mondo gay". "Significa forse che gli omosessuali sono anormali? Dopo tante battaglie civili?" si è domandato Buzzanca.

Il problema che Lando per affetto non vede è forse che le battaglie civili per i diritti dei gay non hanno fin qui trovato molti sostenitori in An. E sicuramente hanno trovato molti detrattori. Come il consigliere d'mministrazione della Rai Marcello Veneziani, che si è sfogato con un un editoriale su "Libero" contro Buzzanca e il vezzo politicamente corretto di parlare bene dei gay. L'intellettuale organico Veneziani dimostra, con le sue spiritose ironie (tipo "se volere riofarvi una vita confessate di essere gay"), che le teste pensanti della destra rimangono ben lontane dalla disdicevole tentazione di entrare nel XXI. Il caso Buzzanca dimostra però che anche a destra ci sono persone che preferiscono vivere nella realtà anziché murati nell'ideologia. E questo per la destra di casa nostra è un bel nodo "di programma" da risolvere.
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