recensione diVincenzo Patanè
Equus eroticus
Mazeppa è un breve poemetto scritto da Lord Byron nel 1819 (disponibile nella BUR nell'ottima traduzione di Ludovica Koch), tratto dalla Storia di Carlo XII di Voltaire. La vicenda di Mazeppa, personaggio realmente esistito nella Polonia del XVII secolo, è diventata celebre, più che per il filosofo francese, proprio grazie a Byron, il quale l'ha trasfigurata poeticamente.
Intriso di tanti temi cari al gusto romantico - l'amore, il genio, il rapporto uomo/natura, il Sublime, la fierezza della natura, la lotta per la vita - ma anche di un'ironia che spesso riesce a stemperare i toni, Mazeppa diventò in breve uno dei miti più sfolgoranti del Romanticismo europeo. Fu così immortalato da molti pittori - da Eugène Delacroix a Louis Boulanger, da Horace Vernet a Théodore Géricault, da Théodore Chasseriau a Achille Deveria - e messo in musica da Franz Liszt e Pëtr Il'ic Caikovskij.
La vicenda - a metà fra storia e leggenda - narra di Mazeppa, un giovane ucraino che viveva alla corte del re Giovanni Casimiro e che un giorno fu scoperto da un nobile polacco a letto con sua moglie. Torturato, fu legato nudo strettamente su un cavallo, lanciato poi al galoppo nella prateria. Dopo tre giorni e tre notti di corsa irrefrenabile "attraverso fitte foreste, tundre gelate, valloni solitari, fiumi impetuosi, lupi famelici e la solitudine di spazi deserti", l'animale cadde stremato proprio quando si imbatté in un branco di cavalli indomiti. Il giovane fu però salvato da un'anima pia e diventò addirittura così potente da vendicarsi del suo aguzzino.
Tra i molti saggi scritti sul poemetto, uno eccezionalmente acuto è quello di Guido Almansi, apparso sul numero 44 della rivista FMR. Secondo Almansi, la folle cavalcata mandò in visibilio l'intera Europa perché in quell'incredibile "animale a due groppe" (metafora usata da Shakespeare per il coito) non era difficile leggervi, ancorché abilmente mascherati, forti accenti erotici. D'altra parte, l'equitazione di per sé si offre a un'evidente simbologia erotica, che trova fondamento nel continuo sfregamento che si viene a creare fra l'uomo e l'animale, negli scambi e nell'unione di sudore umano ed equino e nel fatto che l'uomo cavalchi l'altro come in un rapporto sessuale (non a caso una delle posizioni nel rapporto anale, quella da dietro, viene chiamata croupade, ossia sgroppata). A tale proposito si ricordi l'incisivo film del 1977 di Sidney Lumet, Equus, nel quale un giovane stalliere trova il suo appagamento sessuale proprio nei cavalli.
Come se non bastasse, in questo caso il racconto si presta inoltre ad una voluta ambiguità, che non stupisce certo in Lord Byron, il quale vantò un numero considerevole di avventure omosessuali, soprattutto con ragazzi. Nel poemetto byroniano è infatti l'animale in realtà a cavalcare l'uomo - legato, probabilmente supino, con la testa alla criniera del cavallo - facendogli fare ciò che vuole e costringendolo ad un'incondizionata passività, cosa che ricorda un rapporto omosessuale.
Il contatto fisico del cavaliere con lo schiumante destriero è epidermico, assoluto: "pelle a pelle, poro a poro, goccia di sudore contro goccia di sudore, stilla di sangue umano contro stilla di sangue equino". Anche i pittori insistono su quest'unione inusuale ed indissolubile. Per essi il corpo di Mazeppa - "eminentemente violabile, aperto ad ogni intrusione" - è totalmente alla mercé dei suoi torturatori: "con le gambe completamente divaricate" e "con manacce rapaci e volgari che gli palpano le cosce per legarlo meglio".
Una nudità violata ed un masochistico appagamento nello stare in totale balia dell'altro che evidentemente stuzzicò la pruderie di quanti nell'Ottocento, costretti a soffocare i propri istinti, cavalcarono con la fantasia al posto di Mazeppa. Un mito che tuttora continua trionfalmente a cavalcare nell'immaginario erotico di tanti.