Todo modo

A volte visionare film diventa un problema insormontabile non tanto per il caldo che alligna nei cinema durante l'estate, quanto per la pochezza ideologica di quanto si sta vedendo: Todo modo di Elio Petri è il migliore esempio di questo tipo di cinema basato sulla confusione assurta improvvisamente ad ideologia dominante.


Questo film, che avrebbe dovuto essere una feroce critica al sistema politico democristiano, si rivela con il passare dei minuti come l'opera faraonica di un regista farneticante che crede di fare politica ammassando attori di successo in ambienti lugubri, mostrando un Volontè travestito da Aldo Moro più da spettacolo di varietà che da film politico, presentando un Ciccio Ingrassia negli improponibili panni di un democristiano flagellantesi ed omosessuale (e qui emerge il perbenismo sessuale di certa sinistra) e soprattutto mostrandoci una tale dose di confusione ideologica che appare estremamente arduo - ed inutile - parlare della trama anche in termini estremamente vaghi.


Elio Petri si è finalmente mostrato per quello che è con questo film, sorta di accozzaglia di letture mal digerite e ribellismo da extraparlamentare frustrato: la sua vena registica, già lodata ampiamente per opere come A ciascuno il suo o La decima vittima, si è andata lentamente esaurendosi e questo suo ultimo film ne è la riprova più felice, perché mai si era visto un regista mettere insieme più situazioni assurde di queste nella stessa pellicola.


Voler parlare in termini politici dell'opera di Petri appare oltraggioso e per la politica e per chi la vive e la fa e soprattutto per Petri stesso che non sa affatto cosa essa sia, impegnato a rimasticare più o meno bene idee non sue e che per di più non ha neanche compreso appieno: se si deve parlare di qualcosa è bene parlare degli intenti che hanno mosso il regista nella sua immane fatica, e cioè la satira del regime democristiano.


A parte che la satira è uno strumento critico alieno all'Italia. dove si è usi stroncare o amare alla follia qualsiasi cosa, quello che più colpisce nella pellicola di Petri è il completo e più nefasto sconvolgimento di un'opera letteraria come quella di Sciascia che, se portata sugli schermi integralmente, avrebbe avuto ben altro peso. e soprattutto avrebbe avuto maggior importanza politica che non quella voluta dalla mente di Petri.


Nefando in tutto, il film distrugge anche gli attori che vi hanno partecipato, costringendo un Volontè nelle anguste vesti di un Aldo Moro da barzelletta, mostrandoci un improbabile Michel Piccoli nelle vesti di un non identificato onorevole proveniente da Roma, una Mariangela Melato fornitrice di capezzoli con annessi seni in preda a discorsi da Santa Teresa d'Avila, un Marcello Mastroianni negli improponibili panni di un gesuita che sembra tiri le fila di tutta la vicenda infarcita di cadaveri - numerosissimi - al cui novero manca di certo il più agognato dallo spettatore infastidito da simile bailamme, quello di Elio Petri.

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