recensione di Mauro Giori
Svedesi in ritardo
Il titolo dice tutto: il film offre un ritratto di famiglia piuttosto estroverso e tenta di dare voce alle disavventure di tre generazioni solo tramite il sesso, in modo disinvolto e provocatorio. Si apprezza anzitutto il tono per una volta non tragico (diversamente da Breillat ed emuli), bensì umoristico. Quanto meno nel senso che alla commedia si dava qualche secolo fa: alla fine tutte le tensioni si sciolgono e tutti vissero felici e contenti.
Tensioni che sono poi quelle del giovane Romain, depresso e sull’orlo del suicidio perché è l’unico in tutta la scuola e in tutta la famiglia, cioè nell’intero universo del film, a essere ancora vergine. Pare che nessuno lo voglia, il che in effetti non è molto credibile trattandosi di piacente giovanotto molto disponibile, il quale ad esempio non si fa pregare di filmarsi col telefonino mentre si masturba durante la lezione di biologia, sperando così di fare colpo su una compagna. Si guadagna invece una sospensione e l’imbarazzo di tutta la famiglia.
Famiglia composta da genitori sessualmente iperattivi (il padre compra tali quantità di preservativi che Romain si convince persino che tradisca la madre); dalla figlia Marie che, nemmeno ventenne, si è già rifatta i seni e con il suo ragazzo non sembra fare altro che sesso; dal figlio modello Pierre, che in segreto ha un ménage à trois; dal nonno che tutti credono approdato a una serena latenza senile e invece da anni frequenta una prostituta.
In seguito all’incidente di Romain, la madre decide che è tempo di rompere il tabù che ha esiliato il sesso dai discorsi di famiglia, e pretende che tutti mettano in piazza le loro vite private. Ma questo tentativo di aprire il confronto genera inizialmente solo una serie di imbarazzi: i figli non ne vogliono sapere di raccontare ai genitori i fatti loro, salvo Romain che non ha scelta, ma che non per questo smette di trovare appropriato mettere su internet le sue prestazioni filmate nell’attesa dei voti delle compagne di scuola. Del resto la sospensione viene ritirata dal preside perché tutti i suoi compagni fanno altrettanto, sicché un'applicazione coerente della disciplina comporterebbe la chiusura della scuola.
La madre si consola investigando almeno l’attività sessuale del suocero, il quale ha la maturità necessaria e non sentire il bisogno di avere segreti ed è l’unico a darle soddisfazione accettando di raccontarsi.
L’apertura che ne deriva è comunque sufficiente a consentire a tutti di assecondare la crescita problematica di Romain e di accettare senza incertezze Pierre quando, superata ogni reticenza, si dichiara bisessuale e si accasa con un ragazzo. Alla fine anche Romain trova la felicità, con il disincanto che sembra caratterizzare la sua generazione: si presta a fare tutto quello che la ragazza corteggiata così a lungo (e con mezzi così “moderni”) gli chiede, felice e giulivo per la verginità infine perduta benché già sicuro che la donna della sua vita sarà un’altra.
Nella misura in cui la sessualità si esprime in tutta la sua polimorfa versatilità, con divertita estroversione, senza reprimende moralistiche né drammi che vadano oltre nostalgie variabili in base all’età e agli intoppi dell’esistenza, il film comunica una solare e sottoscrivibile demistificazione del sesso. Soprattutto perché, pur non raccontando nessun altro aspetto delle vite dei personaggi, non sottintende che la loro esistenza nel sesso si esaurisca.
Proprio per questo, tuttavia, risulta incoerente la rappresentazione cui l'eros è sottoposto lungo tutto il film. Se il sesso è davvero la cosa più semplice, naturale, comune e in fondo banale della vita di ciascuno di noi, e se è semplicemente stato sopravvalutato a causa di secoli di etiche pudibonde, perché mai censurarsi così vistosamente nel metterlo in scena?
Certo il film si apre su una ripresa vertiginosamente ravvicinata di una vagina sottoposta a lecita masturbazione dalla legittima proprietaria, ma questo non fa che accentuare il problema. Come si giustifica il fatto che, al contrario, il pene rimanga un oggetto favoloso di cui si parla ma che non si osa mai mostrare? Che senso può avere il fatto che Pierre, sorridente e compiaciutamente lussurioso nel mezzo dei suoi incontri a tre, tenga una manina (anzi due) proprio lì, come se si vergognasse? E che senso dovrebbe avere il fatto che si mostri allo spettatore il filmato di Romain mentre viene girato, salvo lasciare fuori campo il protagonista del filmato stesso? Perché il film, aperto sull’origine du monde, ha il terrore che la si veda di nuovo quando è impegnata a interagire con l’altra, invisibile metà del monde?
Non si voleva ricadere nel linguaggio pornografico con i suoi dettagli chirurgici, dicono gli autori. Ma, anche trascurando che da uno di questi si parte, c’è tutto un ventaglio di scelte possibili tra il dettaglio clinico e un’autocensura così tradizionale, anche nel suo stesso repertorio: il fuori campo e inquadrature, angolazioni, illuminazioni e posizioni degli attori studiate per nascondere fingendo di mostrare, anche nel pieno delle più vivaci e realistiche scene erotiche.
A infastidire è proprio lo squilibrio, l’imbarazzo vistoso di fronte al corpo maschile e non a quello femminile, di fronte all’omosessualità e non all’eterosessualità: Pierre sarà infatti anche bisessuale, ma lo vediamo interagire solo con una ragazza, mentre il ragazzo si limita a guardarlo (e solo in volto). Questa disinibizione azzoppata enfatizza la rimozione anziché la franchezza: ritenere volgare mostrare qualcosa e non qualcos’altro significa negare nei fatti ciò che si afferma a parole, e cioè la naturalità del sesso in quanto tale, per ricadere in condizionamenti culturali che hanno una lunga storia (misogina, tra l’altro). Significa quindi sottoscrivere quei valori della tradizione che si vorrebbero sconfessare.
Sul piano della rappresentazione, il film segue così un percorso inverso rispetto a quello dei personaggi: più questi ultimi sembrano liberarsi e imparare a parlare del sesso senza remore, più sul piano visivo, dopo una partenza dirompente, si fa vistosa la ritirata entro i canoni più triti, sicché ora della fine l’horror penis ha assunto dimensioni ridicole (no pun intended).
Demistificato a parole, il sesso viene in questo modo nuovamente censurato, moralizzato e reso scabroso, relegato implicitamente ma di fatto al solito regno oscuro della volgarità, nonostante di queste censure il cinema istituzionale abbia ormai da molti anni imparato a fare a meno (e in questo la Francia, bene o male, ha fatto scuola).
Arnold e Barr fanno insomma un passo avanti e due indietro, ritrovandosi alla fine con un prodotto che ricorda i film svedesi di cinquant’anni fa, anzi si fa da essi allegramente superare.
Gli autori hanno poi fatto circolare in dvd una nuova versione, diversa da quella distribuita nelle sale, in cui il grande assente del film fa la sua ricomparsa. Lo squilibrio nella rappresentazione del nudo viene così risolto, ma non quello dell'omosessualità, che rimane ancora confinata alle parole dei personaggi. Ad ogni modo, preparare due versioni significa tirare il sasso e nascondere la mano, togliendo credibilità al desiderio (dichiarato dagli autori) di offrire un'alternativa alla produzione pornografica corrente.