recensione di Mauro Giori
Juste une question d'amour
Come in molti film per la televisione di quegli anni, in cui i tabù ormai andavano a cadere anche per il piccolo schermo, l’impianto è piuttosto didascalico ed è organizzato apologeticamente intorno a un unico concetto: avere un figlio gay non è la fine del mondo, come non lo è essere gay.
Il film si divide fra il dramma di Laurent, che non riesce a uscire da una situazione claustrofobica in cui deve fingere con i genitori di avere una fidanzata, e quello dei genitori stessi, vittime dei luoghi comuni e terrorizzati all’idea che potesse capitare loro un figlio come Marc, il nipote morto qualche tempo prima di epatite (ma tutti sono erroneamente convinti che si trattasse di Aids per il semplice fatto che Marc era omosessuale). Piuttosto meglio dimenticarselo un figlio così, come hanno fatto i genitori di Marc, che non erano andati nemmeno a trovarlo in ospedale.
Invece Cédric, che ha qualche anno in più di Laurent, il coming out l’ha fatto, ma in una forma non proprio raccomandabile: ha messo la madre di fronte al fatto compiuto al funerale del padre. La povera donna ha elaborato come ha potuto la notizia e si mostra disinibita, anche se a occhio, e dal dialogo che avrà poi con l’altra genitrice, è ancora lontana dall’aver eradicato i pregiudizi ereditati.
Lo scontro fra le due situazioni crea il dramma, sia pure a costo di qualche forzatura, in particolare negli attriti fra un Laurent comprensibilmente spaventato e un Cédric viceversa sorprendentemente immaturo nella sua incapacità di capire, e soprattutto di “sentire”, la situazione del compagno. Per tutto il film si ha l’impressione che il problema fra di loro non sia tale e che sarebbero bastate due parole, peraltro semplici, per risolverlo. Comunque alla fine Laurent si decide ad affrontare i genitori facendosi carico della morale della storia, difendendo con estrema sintesi il suo amore in quanto tale (come da titolo) di fronte al padre che non lo guarda nemmeno in faccia.
C’è sempre un fondo di insoddisfazione in questo genere di narrazioni, e in questi discorsi che non possono evitare di essere al contempo dichiarazioni politiche. Probabilmente perché, non potendo durare ore, non possono dire tutto quello che si vorrebbe dicessero. Ma in un film per un pubblico generalista, per adolescenti travagliati e per genitori impreparati ad apprendere che loro figlio è come il nipote che non è morto di Aids, il messaggio va al cuore della questione. Quindi segniamo il punto e guardiamo oltre.