recensione diDaniele Cenci
Poesie [1957]
Come per Penna, Saba e pochi altri, la poesia di De Pisis scaturisce da un altro Novecento (L. Baldacci), un'oasi di cristallina trasparenza - eccentrica, per lingua e contenuti, rispetto alle linee dominanti in Italia (avanguardie storiche, ermetismo, etc.).
Tra i temi chiave condivisi da questi autori spicca l'attrazione verso l'adolescenza maschile, un cortocircuito "croce e delizia" che illumina a fondo il leitmotiv della diversità sessuale.
Assaporando questi versi, lo sguardo del lettore va alle nature morte, alle marine, ai corpi dei ragazzi che ossessionano la pittura di De Pisis, e si catalizza davanti al vertiginoso mistero della vita: "Voli, ombre, punti, / echi, note, un nulla".
Con una tavolozza di colori stemperati, il poeta materializza il fantasma di "lontani meriggi", l'atmosfera di un "giardino segreto" irrimediabilmente perduto, lo "strazio pungente" dell'incontro con un bel viso nudo che ha "sapore d'eternità", veleggia verso "paradisi ignoti", percepisce "l'ala e il brivido" di sere lontane, lo rallegrano fiori e farfalle, è avvolto dal "vasto manto della notte".
Approda infine alla limpida cantabilità dell'invocazione all'Orsa Maggiore, ragnatela e labirinto:
"Sette stelle,
carro leggero, portami lontano,
fammi viaggiare".