recensione diVincenzo Patanè
My Summer of Love
Tratta dall'omonimo romanzo di Helen Cross, dal quale comunque si discosta in non pochi punti, la vicenda è quella della passione di due ragazze inglesi abbastanza fuori dal comune e molto distanti sul piano sociale: Mona (Natalie Press) e Tamsin (Emily Blunt).
Tra le due, incontratesi per caso in una brughiera vicino al tranquillo paesino dello Yorkshire dove vivono, nasce un legame fortissimo, che diventa quasi subito fisico e che fa leva sul desiderio che hanno entrambe di fuggire dalla quotidiana monotonia e dalla gretta mentalità del paese.
Tamsin, malinconica ed eccentrica, in vacanza estiva dalla scuola, vive in un'agiata ma vuota ricchezza, fatta di passeggiate a cavallo e di studio del violoncello. Mona è invece un maschiaccio, un'orfana che vive in indigenza (ha acquistato un motorino per pochi soldi ma senza motore...), che ama fantasticare diverse realtà. Vive col fratello Phil (Paddy Considine), appena uscito di prigione. Phil ha deciso di chiudere il suo pub e di rinunciare all'alcol per appagare la rinnovata fede: il pub è stato dunque trasformato in un centro spirituale dove i "cristiani rinati" (personaggi maniaci ansiosi di dare una svolta alle loro esistenze) possono ascoltare le parole del Signore.
In breve le due ragazze scoprono di non poter più fare a meno l'una dell'altra. Così, gli oziosi pomeriggi della torrida estate acquistano finalmente un senso, accendendosi di un desiderio che avvampa ogni giorno di più.
Quando le due decidono però di dar corpo alla loro fuga, trovano un ostacolo in Phil il quale, non appena si accorge della relazione della sorella, cerca di opporsi.
Tamsin, da parte sua, trova gusto nel ridestare i sensi di Phil, ottenebrati dalla fede.
Un finale fortemente drammatico darà una sterzata irreversibile alla storia.
La prima parte del film sa essere convincente sia nello straordinario ritratto parodistico dei "cristiani rinati", assolutamente ridicoli, sia quando mostra con veemenza la passione, esplicita sul piano fisico, delle due ragazze. Queste appaiono veramente complementari: rozza e istintiva l'una, colta e raziocinante l'altra.
La storia (volutamente trasferita in una realtà senza una specifica ambientazione, quasi senza tempo) man mano che va avanti si carica però di una certa fastidiosa pretenziosità. Il conflitto bene/male tanto sentito da Phil sembra essere proiettato sul rapporto fra Mona e Tamsin, rapporto che d'altra parte non sembra avere spalle tanto forti da reggere un simile discorso, oltretutto fuori luogo.
Inoltre, se il film fondamentalmente evita di cadere in stereotipi, il finale lascia perplessi.
Ancora una volta, infatti, quando si parla di omosessualità la vicenda si tinge di problematicità e di personalità aguzze e infide (si pensi alla figura di Tamsin, che ama manipolare a suo piacimento le persone) che naturalmente non possono non portare al dramma finale.
Certo, è la verità, queste cose esistono anche nei rapporti omo e lesbo, ma perché battere sempre su un unico chiodo?