recensione diMauro Giori
Beautiful Thing
Nei cinque anni che ho speso a curare la videoteca dell'Arcigay di Milano la richiesta in assoluto più frequente che mi rivolgevano i ragazzi in cerca di un film era: "vorrei una commedia in cui il gay di turno non si macera nel dolore dalla prima all'ultima sequenza e che, possibilmente, alla fine non si impicca. E che non sia Beautiful Thing".
E questo non perché avessero nulla contro Beautiful Thing, ma perché Beautiful Thing l'avevano già visto tutti. In effetti, era proprio un altro film come Beautiful Thing che volevano vedere. A trovarlo... Beautiful Thing è stato probabilmente il film a tematica omosessuale che ha riscosso il maggior consenso e la più larga diffusione presso il pubblico gay dell'ultima generazione.
I meriti che lo hanno reso così popolare, soprattutto (ma non solo) presso i più giovani, sono tanto semplici quanto preziosi perché rari nella cinematografia omosessuale.
Beautiful Thing, ad esempio, mostrava che si può essere gay e essere felici, persino se si vive in un condominio grigio in una periferia grigia, ingrigita da una famiglia svitata e con una vicina dipendente dai Mamas & Papas.
O che l'omosessualità adolescenziale non è una forma di acne, solo un po' più rara, che passa con la crescita e col Topexan.
O che l'amore omosessuale è appunto amore, e come tale non è diverso dalle altre forme di amore.
O che se l'amore gay è difficile, è in fondo più perché è amore che perché è gay.
O che il materasso non è il luogo più furbo dove nascondere le riviste porno.
O che i genitori, alle volte, meritano un po' di fiducia anche loro, perché possono sorprendervi, anche se dite loro che siete gay.
O che il ragazzo della porta accanto può essere davvero quello giusto, e non è detto nemmeno che sia proprio un cesso.
O che un personaggio gay può rivelarsi tale, per una volta, perché va a letto con il suo amico del cuore, invece che perché si taglia le vene.
O che non occorre aspettare una tromba d'aria diretta a Oz per credere in un amore liberatorio, per trovare il coraggio di essere se stessi in un mondo ostile e per togliersi la corazza di latta ed evitare di soffocare da velate per tutta la vita.
Beautiful Thing è una favola romantica a lieto fine, rassicurante proprio perché ancorata nello squallore del quotidiano: è una favola verosimile, in cui si può credere senza apparire troppo ingenui. E nei fremiti, nei turbamenti, negli accenni di seduzione, nei sogni a occhi aperti di Ste e Jamie, nei loro primi contatti incerti, nei loro occhi umidi, ci riconosciamo un po' tutti.
In un futuro prossimo, speriamo non relegato a una dimensione parallela alla nostra, si riderà del fatto che tali banalità abbiano stentato tanto a trovare la loro giusta affermazione. E sì che bastava un film onesto e sincero, senza nemmeno bisogno di un grande talento registico dietro che sapesse far altro che attingere a una lunga tradizionale di cinema nazionale, quella che discende dal free cinema e che ha insegnato a mescolare impagabilmente dramma, ironia e realismo sociale. Per vedere un film del genere ci sono voluti esattamente cento anni di storia del cinema, nella quale (a occhio: bastano poche sequenze per sincerarsene) Hettie MacDonald non lascerà gran traccia. Ma un suo posto, "somewhere over the rainbow", Beautiful Thing se l'è ritagliato. Speriamo non rimanga troppo a lungo solo (personalmente lo metterei già ora in compagnia quantomeno di Krámpack).