recensione diFrancesco Gnerre
In gioventù il piacere
Orvil Pym, il protagonista di questo strano e originale romanzo di formazione, è un ragazzo di quindici anni che esplora il mondo dal ristretto spazio di un albergo di lusso dove è in vacanza con il padre e i due fratelli maggiori. Da poco orfano di madre, confusamente attratto da persone del proprio sesso, terrorizzato dall’idea di diventare adulto, convinto che lui vivrà sempre in un albergo, o con dei parenti, o prigioniero in una scuola come un qualsiasi delinquente in carcere, è esasperato dalla felicità degli altri, in particolare dalla scena che osserva da un nascondiglio con protagonisti un uomo e due ragazzi che sembrano gioire dei loro giochi, anche rudi e derisori. Nelle sue esplorazioni, che non vanno molto al di là del parco dell’albergo, Orvil entra in una chiesa dove è attratto dalla tomba di una donna e senza sapere il perché si distende sulla lastra fredda fino a poggiare le labbra sul volto d’ottone della dama e ad immedesimarsi in lei, poi conclude la sua visita ubriacandosi di vino eucaristico. E’ affascinato da un negozio di antiquario dove assapora il piacere di muoversi in mezzo a cianfrusaglie casalinghe sparse a mucchi qua e là, sfiora con un misto di risentimento e di piacere la realizzazione del sogno di essere schiavo di un uomo, ruba un rossetto con cui si dipinge le labbra e le guance trasformandosi “in una bambola olandese” , contento di sembrare “effeminato e perverso”. Diventa confidente e amico di una donna bellissima che poi scopre con ripugnanza tra le braccia di suo fratello. Tentato da esperienze violente, che vanno dalla necrofilia al masochismo alla coprofilia, è bloccato dalla paura e dalla sensazione di una irrimediabile inadeguatezza. Il fratello maggiore, “normale”, spavaldo e sicuro di sé, ha il potere di farlo sentire “piccolo, giovane, effeminato, subalterno, vigliacco e ignobile” ed egli lo odia fino a desiderarne la morte. Vive il suo disagio di adolescente e le sue ribellioni in maniera tutta mentale e interiore, come molti protagonisti di storie di formazione, con in più una straordinaria capacità visionaria che egli utilizza per infrangere, a livello di immaginario e con ingenuità adolescenziale, i tabu e le regole che lo inchiodano ad un ruolo al quale non si sente di aderire; e quanto più imbalsamato è il formalismo del padre e delle altre persone che lo circondano tanto più violenta e dissacrante è la ribellione della sua fantasia.
Con un originale uso della tecnica del flusso di coscienza, le realtà rappresentate trapassano inavvertitamente in sogni e incubi che colpiscono e suscitano disagio per la loro crudeltà e per l’immediatezza delle immagini.
L’autore, che oltre a questo ha scritto racconti e altri due romanzi, uno dei quali Viaggio inaugurale è stato pubblicato da Einaudi nel 1990, non è molto noto in Italia. Nato a Shangai nel 1915, ma vissuto sempre in Inghilterra, fu colpito a diciotto anni da un gravissimo incidente stradale che cambiò drammaticamente la sua vita. Morì a soli trentatré anni nel 1948. William Burroughs, che firma una breve introduzione a questo romanzo per la prima volta pubblicato in Italia, definisce Denton maestro della frase indimenticabile, quella che non potrebbe essere scritta da nessun altro e conclude: “ogni volta che uno studente mi dice che non sa di cosa scrivere, io lo esorto a leggere Denton. E’ tempo che Denton riceva l’attenzione che si merita”.