recensione diGiulio Verdi
Se scappi (in cantina), ti sposo
La lentezza francese del film restituisce il senso di frustrazione e immobilità che entrambi gli orsi avvertono nei confronti di se stessi, ma anche l'uno nei confronti dell'altro: René vorrebbe sposare Patrick, vorrebbe ritrovare la serenità perduta, vorrebbe riuscire a concludere un amplesso -- ma Patrick si dimostra spesso evasivo, passivo, tendente al solitario.
I presagi funerei si sommano in un crescendo di inquietudine:
[1] la tivvù costantemente accesa riempie i silenzi delle cene con notizie ferali (bombe, fuoco e fiamme, Talebani, morti violente, migranti affamati e indifesi);
[2] un poco rassicurante gallerista voyeur chiede a René di terminare un lavoro ché la mostra incombe, ma René riesce a produrre soltanto un orso a grandezza naturale con la plastica per imballaggi, che si sgonfia irrimediabilmente ogni volta che tenta di farlo stare in piedi;
[3] da un buco nel pavimento si vede la cantina, dalla quale René si sente sempre più attratto: una giornalista ha pubblicato un articolo su Patrick corredandolo di una vecchia fotografia dei tempi del dancing, in cui è ritratta una coppia di gaî ballerini con un curioso fiocco in testa. Uno dei due, guarda un po', è pure omonimo di René.
Poi succede che un fisico danese, che Patrick sta consultando per la sua sceneggiatura, parla a René di universi paralleli e complementari al nostro -- universi in cui "Hitler ha vinto la guerra" o in cui René può essere felice e appagato. L'insensibile Patrick nota con preoccupazione lo spaesamento di René, ma si limita a consigliargli di andare da un medico e poi se ne va a Parigi per una settimana. Come se non bastasse, è anche la settimana di Natale, in cui dovremmo essere tutti più buoni... È allora che dalla misteriosa cantina René fa spuntare il proprio doppio innocente, ballerino e con fiocco -- con cui si intrattiene fino a sovrapporsi e confondersi.
Una volta tornato, Patrick è inizialmente sconcertato dalla regressione del compagno. Poi finalmente lo prende per mano e acconsente ad amarlo e onorarlo: come due ragazzini, indossano una muta da surf e si tuffano in mare col sorriso sulle labbra. Il tutto sotto lo sguardo del gallerista voyeur, che rimane ossessionato dalla visione dei surfisti così come René lo era rimasto dalla vecchia fotografia.
"Dancing" è gradevolmente lento, buio e silenzioso: la fotografia dimostra che Bernard e Trividic amano Lynch, mentre la sceneggiatura dimostra che hanno letto Lovecraft. La francesità delle inquadrature e dell'impalcatura del film non grava eccessivamente sull'esito dell'opera -- ma ammetto che il mio giudizio positivo possa essere in qualche misura dovuto alla scena d'amore nuda e cruda tra i due lanugginosi protagonisti. Orsofilia a parte, si tratta comunque di un film decisamente sopra la media delle pellicole a tematica.