recensione diGiulio Verdi
Morte ad Amsterdam
Dora e Johan sono sposati da una vita: lei è diventata un antifurto canuto, ossessionato dagli orologi e bisognoso di continua attenzione – il che ha reso lui uno di quegli anziani signori irritabili e misantropi che trascorrono le giornate a spiare i passanti col binocolo. La vita sessuale e affettiva è ormai un ricordo, figli non ne sono mai arrivati e non ci sono più nemmeno le tenerezze e la complicità.
Un bel giorno, proprio attraverso il fido binocolo, Johan assiste all'apertura di una gastronomia greca proprio di fronte a casa sua. Al bancone c'è Yorgos, giovanissimo e cordiale, che pian piano vince la diffidenza di Johan a colpi di baklava e assaggi di feta. A dire il vero, almeno metà delle prelibatezze offertegli dal ragazzo finiscono nella spazzatura: si comincia ben presto a capire che la ritrovata joie de vivre dev'essere dovuta a qualcosa d'altro.
Quando Johan si mette giacca e papillon ed esce a comprare un mazzo di rose rosse, abbiamo la conferma definitiva che l'interesse per il pischello trascende l'arte culinaria – poi finalmente il dramma esplode. Johan raggiunge Yorgos e lo trova mano nella mano con la fidanzata: lo lascia andare per la sua strada, getta il mazzo di fiori e corre in lacrime verso una spiaggia. Parte un flashback, ed ecco che capiamo il vero significato delle rose: Yorgos ha risvegliato in Johan il ricordo dei pomeriggi estivi trascorsi in riva al mare con l'altrettanto mediterraneo Deniz. Il titolo "Zonde/Shame" non è da intendersi come "vergogna", ma ha piuttosto a che fare col campo semantico della trasgressione dell'ordine e del peccato: "Perdonami! Ai nostri tempi non potevamo" grida il vecchio Johan al vento, prima di tornare inevitabilmente a casa dalla moglie.
Niente di trascendentale, molto di convenzionale, ma il film riesce a dipingere in maniera via via sempre più dolceamara il conflitto interiore del protagonista, così da risultare misurato e credibile quando la vicenda raggiunge il suo picco drammatico. Molto indovinate alcune delle scene che illustrano il fallimento silenzioso della vita coniugale, gestita in modo dignitoso quella del mazzo di fiori di cui sopra. Per fortuna viene evitato un finale lieto e consolatorio. Non sarà il racconto di Thomas Mann ma di più, a 50 minuti di montato, non sempre si può chiedere.
Due stelle e mezza, volendo arrotondabili per eccesso.