recensione diMauro Fratta
Ludwig
Greg King fa frequenti riferimenti ad altre opere storiche da lui consultate, e in effetti lo scritto non è mai romanzato: anche dove indulge a particolari pittoreschi, come le descrizioni paesaggistiche o la ricchezza degl'interni nei palazzi che Ludwig si faceva costruire (qui però il tono purtroppo ricorda un po' Liala), King si limita a spargere qualche fiore retorico su d'una materia reale, com'è giusto nel comporre un'opera destinata anche ad un pubblico di modesta cultura storica. Il problema è un altro: King non è un Indro Montanelli americano; il suo stile è sovente ripetitivo e noioso.
Quanto al contenuto propriamente storico, non ho le competenze idonee per emetterne un giudizio, dato che non sono uno specialista in storia moderna o in storia della Germania. Basta però anche la semplice istruzione liceale per cogliere alcuni svarioni che risultano indegni anche d'un lavoro popolare e divulgativo. Se qualcuno, come l'aver collocato papa Pio VI nel secolo XVI al posto di Pio IV, è verosimilmente un innocuo refuso, e il riferirsi al "Vaticano" quando si parla di papi del Medioevo è solo un'irritante metonimia giornalistica fuori luogo (che peraltro diventa ridicola se applicata ad un papa avigonese come Giovanni XXII), altri sono errori veri e proprî. Qualcuno è buffo, come lo scambiare la Patrona Bavariaeper una divinità, mentre basterebbe conoscerne anche superficialmente l'iconografia per sapere che si tratta d'un titolo della Madonna: ma ciò è anche indicativo di come gli storici d'oltreoceano possano essere molto competenti nel loro campo di specializzazione ed ignorare invece anche i rudimenti di tutto ciò che gli sta attorno. Più in generale, l'autore dimostra una conoscenza quanto mai manchevole del cattolicesimo: basta leggere il capitoletto sul Kulturkampf, dove, nel riferirsi al Concilio Vaticano I, palesa d'ignorare totalmente la distinzione fra magistero ecclesiastico ordinario e straordinario; un po' come se un biografo di qualche sultano turco fosse pressoché ignaro della dottrina e della storia dell'Islam. Però anche in fatto di storia dell’arte il Nostro si rivela scarsino: con disinvoltura qualifica come “romantica” nello stesso modo l’architettura neoclassica russa di Caterina la Grande ed Alessandro I, e quella neogotica dei Wittelsbach ottocenteschi. Né difettano errori che non so se attribuire all'autore o al suo traduttore italiano. Non so se sia suo o di King, ad esempio, l’errore di chiamare il medico di corte "il dottor Geheimrat Gietl", come se Geheimrat fosse un nome di persona e non il titolo onorifico di consigliere segreto. Anche dove si riferisce all’Infanta da la Paz sembra che “de la Paz” sia cognome o predicato di costei, la quale invece altri non è che l’Infanta Maria de la Paz (altresì nota familiarmente come Infanta Paz), figlia della regina Isabella II di Spagna e del Duca di Cadice, e sorella di Alfonso XII, andata in isposa ad un cugino di Ludwig e, al pari del marito, morta in tarda età dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Un pregio di King è invece quello di non azzardare teorie o ricostruzioni personali dove i documenti sono ambigui o mancanti, preferendo sempre appoggiare teorie già espresse da storici precedenti, e quasi sempre con grande buon senso, anche per quanto riguarda la morte del sovrano. Egli per esempio non crede alla pazzia di Ludwig, ritenendo che tutt'al più lo si potesse considerare un eccentrico affetto da turbe psichiche momentanee; penso invece che, mentre la teoria per cui queste potevano essere provocate dall'abuso di farmaci sia molto credibile, vada presa invece con le pinze l'altra, cui pure King aderisce, secondo la quale anche la sifilide avrebbe rappresentato una concausa: viste le sciocchezze che si sono scritte sulla presunta sifilide di Nietzsche, sarebbe prudente evitare anche per Ludwig di chiamare in causa questa malattia nel caso in cui gli unici sintomi eventualmente attribuibili ad essa siano quelli nervosi. Può darsi al contrario che proprio la continua benché inefficace repressione della sua omosessualità da parte del re bavarese possa aver cooperato all'instabilità mentale; anche qui mi sembra che King assuma una posizione equilibrata, menzionando accanto all'educazione cattolica di Luigi II anche la sua abnorme considerazione per la propria dignità regale: anche perché di per sé la sessuofobia cristiana in cui erano stati educati non aveva impedito a decine di monarchi venuti prima di Ludwig, da Giacomo I Stuart a Enrico III di Valois a più d'un Medici, di avere rapporti o relazioni omosessuali quasi alla luce del sole. Si tratta perciò d’un testo con numerosi difetti, ma, tutto sommato, utile per documentarsi su d’un personaggio di grande fascino, anche se ormai per me l’immagine che me ne resta in mente sarà sempre, più della figura storica, quella del divino Helmut Berger nel film di Luchino Visconti.