recensione diMauro Fratta
Scappare fortissimo
In una certa misura, la vita del Nostro rispecchia perciò quella d’una generazione sempre in fuga, tanto brillante nelle apparenze quanto sconfitta, di fatto, nella sostanza della propria umanità. E d’altronde nemmeno siamo sicuri della sincerità totale della narrazione, perché le idee e i ricordi del protagonista potrebbero essere anche distorti da un’incipiente demenza senile, da lui paventata e lucidamente intravista in certe sospensioni e falle della sua memoria. Purtroppo tuttavia il romanzo non mi sembra scritto molto felicemente: da un lato suona un po’ “costruito” e insincero (soprattutto l’erotismo ha qualcosa di freddo e distante), dall’altro pecca d’una certa prolissità, che forse (come anche il passato prossimo narrativo, che qui schiaccia sul presente perfino i ricordi più lontani) vorrebbe riprodurre gli andamenti d’un pensiero senescente, travolto da fantasie ricorrenti e fissazioni, ma sfortunatamente finisce invece, qua e là, per ingenerare un certo tedio. Il compianto Pier Vittorio Tondelli scrisse da qualche parte che i giovani scrittori italiani gli parevano più dei buoni fotografi di scena che bravi registi: ecco, Moretti, pur essendo un romanziere esordiente tutt’altro che giovane (Tondelli era nato dopo di lui), sa dipingere singole scene molto gustose, ma non le sa sempre ordire in un arazzo che colpisca, attragga e sappia piacere nel suo complesso. Anche la lingua è a tratti sapida e a tratti opaca e convenzionale. Almeno in un caso diviene anche involontariamente comica: “Da tempo penso che due siano le peggiori disgrazie che possano capitare a un ragazzo, al giorno d’oggi: diventare tossico e incontrare una delle associazioni legate alla Signora Teocon e ai suoi amici preti sulla strada della disintossicazione”. Preti che si disintossicano? Mah.