recensione diMauro Giori
Tabù - Gohatto
Dopo la lunga malattia che lo ha tenuto per sedici anni lontano dal set, Oshima torna al cinema e dimostra di non aver perso nulla del suo smalto e della sua voglia di provocare. Il regista giapponese è abituato da sempre a far discutere con i suoi racconti impregnati di una sessualità socialmente eversiva, fin dai tempi del "nuovo cinema giapponese" di Racconto crudele della giovinezza (1960), passando per lo scandalo di Ecco l'impero dei sensi (1976) e L'impero della passione (1978).
Rifiutando l'idea stessa dell'oscenità, Oshima ha sempre riconosciuto nella sessualità lo strumento con cui chi si trova in una posizione di subordine rispetto alle gerarchie del potere può spingere al cambiamento della società, sfidandone e mettendone in crisi le convenzioni e le usanze. Già in un saggio del 1970 ("Tra costume e crimine: il sesso come mediatore") Oshima identificava nell'omosessualità una di queste posizioni marginali ma rivoluzionarie, sostenendo di averle sempre supportate.
Nel 1983 aveva per la prima volta usato proprio l'omosessualità come variazione sul tema per il suo film Furyo. Tornando al cinema dopo un lungo silenzio (rotto solo da qualche lavoro televisivo), è ancora all'omosessualità che attinge per costruire un racconto perfettamente in sintonia con tutto il suo cinema precedente, sia dal punto di vista formale che dal punto di vista tematico.
La società in questo caso è quella di una scuola di samurai che alimenta la milizia Shinsengumi, nel Giappone del 1865. Si tratta di un ambiente tutto maschile regolato da codici morali severissimi. Il film si apre proprio con l'elencazione di questi codici e con la decapitazione di un samurai che li ha trasgrediti.
In questa società l'arrivo del giovane Sozaburo crea una serie di tensioni che ne minacciano l'ordine. Appena diciottenne, promettente guerriero e di ricca famiglia, Sozaburo ha un aspetto androgino che fa invaghire numerosi samurai. Apparentemente oggetto passivo e remissivo delle attenzioni dei colleghi, Sozaburo si rivela in realtà assai più consapevole di quel che si può pensare inizialmente, e sembra sapere bene cosa vuole.
La situazione precipita quando viene assassinato uno dei samurai, che era stato amante di Sozaburo (il quale pare abbia però una relazione con un altro giovane samurai, Tashiro).
Gli altri samurai discutono dell'omosessualità di Sozaburo: c'è chi la condivide, chi la tollera e chi la disprezza, ma nessuno lascia che questi giudizi si facciano valutazioni generali della sua persona. L'omosessualità può anche non essere condivisa, ma Sozaburo è rispettato da tutti.
Il vero problema è il mantenimento dell'ordine, che pare impossibile visto l'effetto che Sozaburo fa su molti samurai (il problema alla fine non sembra essere tanto l'omosessualità, quanto la bellezza fatale di Sozaburo).
In una sequenza semiseria, il giovane viene anche portato in un bordello per una fallimentare iniziazione all'eterosessualità, mentre in realtà egli ha già messo gli occhi sul suo accompagnatore.
Oshima si muove per tutto il film tra dramma e sottile umorismo, ma conclude come sempre in tragedia, con la reazione repressiva della società: la bellezza di Sozaburo non è gestibile e quindi deve essere soppressa, dopo che egli stesso era stato utilizzato per eliminare il suo amante Tashiro.
Ma il trionfo della società e della repressione è pagato con il prezzo della rimozione, come si intuisce soprattutto (ma non solo) nel personaggio interpretato da Kitano, che non riesce a nascondere né i dubbi sulla ragionevolezza della società che si trova a servire né la consapevolezza della propria attrazione per la trasgressione.