recensione diStefano Bolognini
Alexis o il trattato della lotta vana
"Tutti noi ci trasformeremmo se avessimo il coraggio di essere ciò che siamo".
Margherite Yourcenar
Breve romanzo con il quale Margherite Yourcenar, ventiquattrenne, esordì nel 1929.
Raccoglie la cupa lettera di un giovane sposo che decide di abbandonare la moglie dopo una "lotta vana" contro la propria omosessualità.
L'uomo sviluppa un doloroso approfondimento spirituale, a partire dai ricordi dell'infanzia, teso da una parte a giustificarsi agli occhi della moglie, dall'altra a liberarsi, con sottile autocompiacimento, di una "morale comune" vissuta troppo a lungo come un peso.
È una decisa confessione della continua auto-umiliazione a cui l'uomo si sottopone per evitare il piacere, del bieco moralismo con il quale ammantava il desiderio di bellezza, per poi "cadere", "un mattino come tutti i mattini possibili, né più luminoso né più velato".
La Yourcenar sussurra lievemente l'omosessualità dell'uomo (che maschera per via indiretta la propria):
"camminavo, non avevo meta; non fu colpa mia se, quel mattino incontrai la bellezza"
ma, senza mai giudicare, la giustifica:
"la facilità del peccato sconcertava il pentimento"
e ancora:
"non vedo perché il piacere, in quanto pura sensazione, debba essere un male, mentre non si disprezza il dolore, che è pure una sensazione".
Con una richiesta di perdono alla moglie si chiude uno delle più interessanti romanzi sull'omosessualità scritti nel secondo decennio del secolo scorso, che fa emergere il dramma della non accettazione e ne offre una possibile via di uscita, sia pure in chiave di "rassegnazione" piuttosto che di accettazione:
"Non soffriamo dei nostri vizi, soffriamo soltanto di non saperli accettare con rassegnazione".