Pasolini e la morte. Affascinante, ma poco credibile ricostruzione.

2 maggio 2006

Sinceramente, non credo a una parola di quanto ho trovato scritto. Magari non ho voluto credervi, forse, ma tant'è.

La tesi di Giuseppe Zigaina è in sé molto semplice: la morte di Pier Paolo Pasolini (avvenuta la notte tra l'1 e il 2 novembre 1975) non è stata il risultato né di un complotto politico né della reazione violenta del "ragazzo di vita" in compagnia di Pasolini, bensì la conclusione di un "Progetto di Morte" strategicamente preparato dall'autore stesso, un rito auto-sacrificale facente parte integrante della poetica letteraria di uno degli scrittori più rilevanti e discussi del Novecento.

Bisogna innanzitutto tralasciare momentaneamente la questione documentaria del volume, cioè della sua maggiore o minore veridicità, e valutare in prima battuta il suo valore narrativo (di fiction, direbbe qualcuno oggi): la tesi risulta essere di per sé molto seducente, così come il suo svisceramento si avvale di una serie di esempi, prove e vere e proprie piste d'investigazione davvero suggestive; questo Pasolini e la morte è un ben articolato giallo intellettuale, come sta appunto a suggerire il sottotitolo della pubblicazione.

Inoltre non bisogna dimenticare l'attenzione che a ancora oggi un non esiguo numero di persone continua a porre nei confronti del caso Pasolini e del relativo favore di pubblico che una nuova teoria risolutiva va ad incontrare.

Zigaina si propone al lettore come il detentore di un procedimento decodificatore del linguaggio criptico di Pasolini, andando a riesaminare l'intera opera dell'autore per scovare le prove che avvalorino la soluzione al caso da lui proposta, trovando passo passo gli elementi, gli indizi disseminati da Pasolini stesso nei suoi scritti e che possano andare a indicare una volontà, una scelta di morte coscientemente presa negli anni e progettata in tutto e per tutto.

Un autore-investigatore, dunque, che lontanamente ci può rimandare in letteratura a un certo Leonardo Sciascia de L'Affaire Moro (nella sua grandezza comunque molto più modesto di Zigaina, va detto), altro collega e intimo di Pasolini alle prese con la ricostruzione di un delitto chiuso, pur nel suo mantenersi ancora aperto.

Questo per quel che riguarda una lettura primaria del testo e la sua ottima riuscita nell'avvincere.

Il secondo passo sta però nel convincere.

In questo caso abbiamo a che fare con qualcuno, l'autore, che cerca di fornire ai lettori una chiave di lettura in tutta sincerità abbastanza forzosa, con un fitto intreccio di azioni e correlazioni che nella maggior parte dei casi lasciano al massimo percepire, senza andare a spiegare fino in fondo e provare qualcosa inconfutabilmente.

Zigaina ci propone materiale del tutto opinabile, non riesce cioè a fissare dei cardini irrefutabili se non per chi si lasci andare fin da subito a una fede quasi assoluta nelle sue parole. Senza questa posizione preliminare, Zigaina riesce al massimo a rilevare coincidenze suggestive e trovare dell'autobiografismo nell'opera pasoliniana, autobiografismo tra l'altro non raro nelle menti lucide e negli artisti in senso lato.

I campi indagati sono molteplici e più ancora gli strumenti utilizzati dall'autore per sondarli: andiamo dalla linguistica alla letteratura, da una lettura ecdotica sbocconcellata a una più autorevole prospettiva biografica (ricordiamo che Zigaina è stato vicino emotivamente e intellettualmente a Pasolini), tutte puntate all'esame dell'arte pasoliniana e del suo vissuto civile.

Nemmeno Pasolini, inoltre, ha avuto a che fare con pochi ambiti di produzione: poesia, narrativa, saggistica, cinema, teatro, giornalismo (oltre alla pittura, se pur in senso magari più privato, che lo può avvicinare maggiormente a Zigaina). Tanto, dunque, il materiale da sviscerare e tanta, a mio parere, può essere la confusione in cui si può incorrere.

Alcuni esempi di certi fraintendimenti li posso trovare, per accennarli appena, nel senso sacrificale attribuito alla morte di Pasolini. La stessa definizione di martire per autodecisione che troviamo nel libro si presta poeticamente ad una facile mistificazione: un martire è tale per decisione altrui, mentre una propria scelta di morte lo tramuta in un suicida, affatto condannabile in senso sacro.

Altra confusione lsi deduce anche dall'ambigua accezione del termine diacronia fornita in corso di lettura: una lettura diacronica di un fenomeno la si può dare a consuntivo, ma difficilmente la si può prevedere del tutto in via preliminare, di conseguenza Pasolini non avrebbe potuto prevedere in preventivo il processo diacronico di una Opera-Vita e la relativa lettura di certuni alla sua conclusione senza più che vasti margini di errore e fallimento.

Se poi Zigaina vuole proporre come insito nella poetica pasoliniana anche il suo omicidio, non può sottrarsi dall'integrare ad esso anche la vasta vicissitudine processuale che ne è seguita: Pier Paolo Pasolini, dunque, secondo Zigaina sarebbe riuscito a prevedere nel suo "Progetto di Morte" tutto il corso d'indagine, tutti gli interrogatori, tutte le dichiarazioni, tutte le congetture, le persone coinvolte a torto o a ragione, le prove, le conclusioni, la sentenza. Tutto.

L'ipotesi mi pare alquanto inverosimile, anche senza contare gli inevitabili scivoloni in cui i processi (specialmente con degli omicidi di mezzo) finiscono per cascare.

Vogliamo poi dare uno sguardo al lavoro lasciato incompiuto da Pasolini? Già quel materiale da solo lascia pochi dubbi su quanti progetti futuri avesse in cantiere al momento della sua morte, di fatto rendendo le due cose incompatibili.

In una dichiarazione del 1975, ad esempio, Pasolini parla del suo romanzo Petrolio:

"Ho iniziato un libro che mi impegnerà per anni, forse per il resto della mia vita",

come può, dunque, il 10 gennaio dell'anno in cui teoricamente avrebbe deciso di farsi suicidare, parlare di anni a venire? Tanto più che Zigaina liquida Petrolio solo come un romanzo postumo, mentre invece la corretta definizione è quella di un romanzo pubblicato postumo, certo, ma di fatto assolutamente incompiuto.

Mi pare anche azzardato quanto afferma l'autore a proposito del periodo intercorso tra il 1974 e la sua morte nell'anno successivo: Pasolini avrebbe, secondo Zigaina,

"riempito il tempo che lo separava dal 2 novembre sistemando le cose della sua vita terrena".

Petrolio dunque risulterebbe così poco più di un passatempo.

Il linguaggio di Zigaina è molto forbito e la sua prosa ha comunque molto di abile. A più riprese si pone lusinghiero nei confronti del lettore, cercando di blandirlo con laconiche dichiarazioni nei suoi confronti, come quando dice di non voler sottovalutare l'intelligenza di chi legge nel continuare a ribadire la sua opinione, oppure sottintendendo la sua visione dei fatti come la unica a cui dovrebbe prendere parte chi tiene a cuore la memoria di Pasolini.

Successivamente si rivela tanto elegante quanto autoritario, senza cioè mai porre le sue opinioni come ipotesi, ma come certezze, dati di fatto.

A mia personale opinione, invece, le sue decifrazioni risultano suggestive, certo, ma efficaci solo una volta accettato a pieno il suo postulato iniziale, quello cioè della morte sacrificale per autodecisione del poeta.

Ci sarebbe poi molto da aggiungere, ma il resto rimane solo un giallo puramente intellettuale.

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