Alexander, l'amore non è la guerra.

E' da un pezzo prima dell'uscita nelle sale di "Alexander" che, tra tv e giornali, ce la stanno menando con sta questione dell'Alessandro troppo di qui o troppo di là. Prima di vedere il film ero sommerso come tutti da una critica che folleggiava intorno alla questione omosessuale di questa biografia; si leggeva che "il pubblico americano boccia l'Alessandro di Stone" perché troppo esplicito, commenti che facevano figurare una versione cinematografica poco raffinata o comunque troppo improntata sull'argomento: alla luce di tutte quelle voci (soprattutto quelle statunitensi, tanto per cambiare) così scandalizzate, quando non indignate, dalla visione della pellicola, ho immaginato prima di tutto che il regista avesse calcato troppo la mano sulle scene di rapporti sessuali, cosa che in effetti sarebbe potuta risultare poco digeribile per un pubblico eterogeneo in età e in linea generale per quello eterosessuale (si, beh, questo proprio a volerlo concedere, perché sarebbe come se un gay qualsiasi, uscendo dalla visione di "9 settimane e mezzo", si dichiarasse scandalizzato dalle scene etero senza veli).

Quando finalmente ho visto il film, sono rimasto sconcertato piuttosto dall'eccesso degli accorgimenti con cui sono state trattate le scene sulle quali si poteva facilmente scivolare nella volgarità, perché non c'è nulla in tutto il film che possa in qualche modo turbare la vista, anche quella del pubblico più prevenuto.

Appurato, dunque, che dal punto di vista sessuale di scene omosessuali esplicite realmente "pericolose", nell'arco di tutte le tre ore, non se n'è vista una nemmeno per sbaglio, mi sono detto che probabilmente lo scandalo doveva essere di ordine sociale, cioè che lo sconcerto derivasse dal fatto che l'omosessualità fosse presentata nel film come paritaria all'eterosessualità in fatto di dignità, per così dire, istituzionale.

Anche qui, però, la situazione che ci si trova di fronte è leggermente diversa: l'unico elemento di amore omosessuale degno di nota, nel film è stato limitato al solo rapporto tra Alessandro ed Efestione, senza andare al di là di loro due, mentre per il resto non lo si vede che vissuto, bene o male da tutti, in termini sostanzialmente viziosi durante festeggiamenti vari e via dicendo.

Tutto questo non dovrebbe quindi spaventare l'establishment eterosessuale della critica, perché se l'amore, quello con la "a" maiuscola, costituisce l'eccezione di due soli individui, come è noto a chiunque un'eccezione non fa che confermare una regola, la solita.
Piuttosto dovrebbe lasciare più malcontento nelle file omosessuali (e che paroloni: establishment, file... si prendano con le pinze, prego), perché quello che viene visto nel film come la regola sociale, è perlomeno un po' distante dall'omosessualità in termini ellenici, che ha un'accezione, diciamo, più mentale ed empatica (che contempla comunque il rapporto sessuale, ma che non è la sola penetrazione di per sé stessa), quella concezione che sarà poi ripresa per certi versi, per esempio, da Pasolini, della sessualità come conoscenza dell'altro e, di riflesso, dell'amore stesso come conoscenza, condivisione.

Questo lato dell'omosessualità emerge in una delle prime scene, nelle parole di Aristotele alla lezione dei bambini, con Alessandro e Efestione ancora piccoli e che saranno l'unica risposta futura a questa filosofia esistenziale, ma per il resto non esiste, non si vede, rimane appunto l'eccezione.

Peraltro, anche nella resa del rapporto tra i due, il regista ha avuto una certa delicatezza nel lasciare intendere, senza però andare oltre a quei pochi gesti affettuosi che non sono mai finiti nell'esplicito.

Forse qualcuno sarà anche rimasto deluso dal fatto che la moglie Roxane ha avuto sugli schermi il suo spazio intimo col protagonista e che invece ad Efestione siano toccati "solo" gli abbracci commossi, ma fortunatamente la professionalità e il coraggio (coraggio, certo, perché con certa critica merdosa e sto pubblico schifiltoso che gli è toccato, non si può usare altro termine) di Oliver Stone hanno evitato che ad Efestione toccasse di finire come il povero Patroclo in "Troy", che la censura ha voluto si tramutasse da amante a cugino di Achille (leggi articolo).

ualche volta bisogna sapersi accontentare, per impedire che questo revisionismo storico-letterario pericoloso ci prenda troppo gusto.

Tirando le somme: se da un lato, quindi, non ci sono gli estremi per appellarsi alla decenza e dall'altro non c'è nulla che modifichi drasticamente il concetto di rapporto istituzionale (quello occidentale odierno, va ricordato), una buona parte di critica e di pubblico non ha fatto altro che esternare dei commenti che escono dall'oggetto artistico in esame e rientrano, invece, nelle solite posizioni di principio, quelle che non si rendono conto essere un vero pericolo sociale.

EFESTIONE E ALESSANDRO
Venendo ora nello specifico del rapporto tra Efestione e Alessandro, nessuno o quasi nessuno ha rilevato il ruolo emblematico, che sia intenzionale o meno, della situazione in cui si muove, che può benissimo rappresentare un paradigma anche contemporaneo.

La loro relazione si muove nel film in un contesto, come già detto, piuttosto sessuale (anche se tutto da intuire) che emotivo, costituendo un'eccezione che, pur se degna, resta la sola di tutta la pellicola. Nonostante questo, anche tra loro due non mancano degli scompensi: Efestione non ha altri fini che il solo affetto per Alessandro, non ha altri cedimenti a livello sessuale (stiamo parlando sempre del film, senza entrare nel merito di questioni storiche, che sarebbero tra l'altro poco documentabili), non vive digressioni sessuali o emotive, cosa che invece non manca di fare Alessandro: vediamo il rapporto col danzatore persiano Bagoa o la seduzione da parte di Roxane, che non è, come sarebbe facile credere, solo una pura esigenza dinastica.

Alessandro sta a metà strada tra ciò che sono tutti e ciò che invece rappresenta il vero sogno, il vero traguardo sentimentale, che si vede nel ruolo di Efestione come irripetibile, unico.

E' vero, del resto, che Alessandro non rappresenta altro che una normalità più che terrena, in contrapposizione alla figura divina che ne viene dipinta e che lui stesso propone al suo esercito prima dell'ultima battaglia, accusando i soldati di essersi lasciati sedurre dai vizi e di aver abbandonato il suo sogno, la sua visione.

Ciò che realmente sfugge è che l'unico sogno a cui Alessandro si sente realmente dedicato non è altro che un sogno di grandezza gloriosa che, per quanto dignitoso e legittimo, resta comunque solo terreno.

Quello che, invece, viene dato forse troppo per scontato, finisce per risultare quanto di più prezioso esista solo nel momento in cui lo si sente perso, appunto nel momento della morte di Efestione: anche qui, la morte dell'amico coglie un Alessandro di spalle, a seguire e raccontare i suoi sogni di grandezza e non a fianco del compagno agonizzante; la disperazione di Alessandro sarà solo davanti all'evidenza, più dolorosa e straziante di una battaglia, dell'aver perso per una volta qualcosa per sempre.

E' una realtà, questa, che non accetta controffensive, perché l'amore non è la guerra. Le conquiste di Alessandro si susseguono una in fila all'altra, ma sono visioni e progetti tutti replicabili, forse anche prevedibili, e probabilmente sono quelli di molti, ma non sono che vittorie tangibili, materiali.

Efestione invece no, l'amore no, è il vero sogno, quello che si perde quando si riaprono gli occhi credendo di stringerlo tra le mani, senza più trovarlo.
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