recensione diDaniele Cenci
Rainbow road
Con “Rainbow Road”, Playground completa l’edizione italiana di una strepitosa trilogia pop di Alex Sanchez sui liceali gay negli USA.
Da sempre Jason, idolo macho del basket, ha segretamente sognato di farlo anche con i ragazzi. Disorientato dalla sua bisessualità, dopo un lungo e faticoso percorso si è perdutamente innamorato di Kyle. L’occasione per un’indimenticabile avventura attraverso gli States col suo ragazzo e l’amico Nelson si offre quando la Harry Hay School di Los Angeles lo invita ad inaugurare l’anno scolastico: Jason è chiamato ad infondere negli studenti di quel liceo – tutti gay e lesbiche – coraggio e autostima col racconto del suo coming out.
Il cult-book On the road di Kerouac è citato in maniera ironica e disincantata dall’autore: se lo porta in tasca Nelson, che però non ne sopporta certi luoghi comuni verso i gay.
Come ricorderà chi ha amato i primi due volumi dei rainbow boys, Nelson è l’amico più fidato di Kyle, lo ha aiutato ad affrontare il difficile periodo del liceo, a superare la paura della propria omosessualità: lo ha incoraggiato a dichiararsi ai genitori, gli ha infuso la forza di corteggiare Jason.
Impagabile Nelson!: imbattuttosi all’inizio del viaggio in una gita scolastica e assediato dalle ragazzine stregate dal suo modo di vestire, dà il ben servito ad una delle accompagnatrici omofobe. A Jason che prova a riprenderlo per la sua ‘chiassosa’ visibilità, confida che non sta cercando a tutti i costi di ‘sembrare diverso’, ma che lo è!
Intanto, calate le prime ombre della sera sul maestoso spettacolo di una natura intatta, Kyle freme dalla voglia di fare l’amore:
“Abbracciò Jason, un gesto che desiderava ripetere ogni notte per il resto della sua esistenza, e respirò il suo profumo muschiato”.
Anche se i sensi reclamano ben altro, Kyle deve accontentarsi e rimandare l’amplesso per la presenza ‘ingombrante’ di quel ficcanaso di Nelson. Magico sarà per il nostro trio l’approdo al santuario delle “Fate Incantate”, un’utopica Gayland fondata da Harry Hay, dove si ritrovano checche, lesbiche e trans di differenti età e stili di vita, “una frangia radicale e anticonformista di omosessuali dalla mente libera” che non può non richiamare Cow Girl di Van Sant.
Vengono presentati alla comune da Lady-Cimice e dal Satiro: a Nelson sembra di essere piombato ne Il Mago di Oz quando si passa dal bianco e nero al Technicolor, e confessa di non essersi così emozionato dai tempi in cui Madonna baciava Britney.
Kyle se ne esce ‘predicando’ che non si tratta maisolo di sesso, perché nel fare all’amore “offri a qualcuno una parte molto speciale di te – ed è importante conoscerlo prima”: ma Nelson, divino Ariel, ribatte a lui e a Jason che qualche volta si deve giocare senza seguire le regole chiare e stabilite della maggioranza, si deve avere il coraggio di lasciarsi andare e di essere quello che si è.
Nel romanzo – che si presenta come un’azzeccata sceneggiatura per un teen movie di successo - ritroviamo alcune situazioni didascaliche nelle esistenze gay, lesbiche, bisex e trans, già assaporate in Priscilla e Queer as Folk: la loro macchina viene imbrattata con un megagalattico "froci"; l’adolescente trans BJ, dopo aver trasformato Nelson in una ‘farfalla’, si fa accompagnare a New Orleans (prima dell’alluvione) a “un concorso per sosia di Britney Spears”; la collaudata coppia interetnica di Miguel e Todd, incrociata in Texas su un camper dove garrisce intrepida la rainbow flag, accetta di accompagnarli per un tratto.
Con quest’ultimi, insieme da una vita, intavoleranno un’appassionante discussione su cosa scateni l’attrazione reciproca e come si arrivi a comprendere che l’altro è l’“uomo giusto”.
In un campeggio, trascinati dall’orgogliosa rabbia di Nelson contro un padre fondamentalista che maltratta il figlio ‘femminuccia’, infonderanno nel piccolo Esaù una grande lezione di vita: la conclusione è che non si può ragionare con gente imbottita d’odio, e che
“le aggressioni finiranno solo quando qualcuno si deciderà a reagire e resistere”.
A due cowboys incazzosi che a un distributore gli chiedono il senso della bandierina arcobaleno sul parabrezza, Nelson risponde pepato: “Significa che siamo delle checche.” Queste parole scatenano l’attacco e l’inseguimento dei due frustrati: la spericolata guida di Nelson arriverà a seminarli e a sbatterli fuori strada (nel generale tripudio dei lettori).
Il richiamo al giovanissimo Matthew Shepard trucidato in America nel 1998 da due omofobi dopo esser stato trascinato in un tranello, da noi suggerito nel parlare di “Gente del Wyoming-Brokeback Mountain” (in "Aut", nov 2005), è qui esplicitato da Kyle, terrorizzato dalla piega che rischia di prendere la loro avventura attraverso gli States.
Ma se nel lancinante finale del racconto della Proulx s’era dolorosamente infranto il sogno di una vita a due, in Rainbow road Jason e Kyle sono pronti a raccogliere la sfida, ed assistiamo al passaggio del testimone tra la generazione ribelle di Easy Rider (Miguel e Todd) e i figli dell’ “edonismo reaganiano” e dell’emergenza aids. Di fronte alla maestosa alba sul Gran Canyon – boccata d’ossigeno dopo il desolato grigiore della America profonda - Jason si convince che,
“se questa meravigliosa bellezza si era formata goccia a goccia, forse c’era speranza anche per lui e Kyle”,
giorno dopo giorno!
Nonostante gli infami cartelli di pochi criminali imbecilli (“Dio odia i froci”: gli stessi slogans gridati dai fanatici fondamentalisti ai funerali di Shepard), la scuola accoglierà con un caloroso applauso liberatorio l’improvvisato, memorabile discorso di Jason: i ragazzi devono smetterla di soffocare in solitudine i loro autentici desideri, devono ‘giocare’ in squadra, incoraggiarsi a vicenda nella loro comunità di elezione.
Dulcis in fundo, anche il generoso ma sfigatissimo Nelson troverà in Manny un compagno ideale, decidendo di conviverci per un esperimento d’amore.
A Kyle e Jason, finalmente soli nel loro viaggio di ritorno e nel definitivo ingresso nel mondo degli adulti, non resta che inneggiare alla loro ritrovata intimità danzando nudi nel deserto e rotolandosi tra le sabbie, certi che un giorno avrebbero
“festeggiato i loro vent’anni di storia con un viaggio in camper verso l’Ovest”.