Una lucertola con la pelle di lesbica

9 settembre 2006

Negli anni d’oro del thriller all’italiana, rilanciato dai successi di Dario Argento, l’eclettico Lucio Fulci (meglio noto per i suoi horror sanguinolenti, ma autore anche di commedie, musicarelli e altro ancora) ne offre la sua interpretazione, non priva di qualche potenziale suggestione.


Gli giova la scelta di collocare la sua vicenda sullo sfondo della “swinging London”, che gli offre il pretesto da un lato per inserire nel film le sequenze relative ai party-orge della vicina di casa, e dall’altro per l’idea brillante dei testimoni ciechi, perché strafatti. Resisterei però alla tentazione di leggere i due hippy come metaforone sulla natura del cinema, per non finire col farne un volgarizzato lascito dell’Antonioni di Blow Up. Le ambizioni di Fulci su questo piano sono piuttosto modeste e la sua vena migliore si sfoga altrove. E non certo nelle orgette che indulgono a quell’erotismo soft destinato a diventare un tratto piuttosto riconoscibile del suo cinema, ma piuttosto nelle complicazioni irrazionali e oniriche dell’intreccio, che fa ricorso alla psicanalisi ma in forma piuttosto originale rispetto a quanto andava facendo negli stessi anni Argento.


Peccato che poi Fulci non rinunci a razionalizzare tutto, banalizzando alquanto la vicenda. Era più seducente (e meno tradizionalmente omofoba) l’intrigante rimozione della trasgressione dell’attrazione della protagonista altolocata per la vicina porcella che non la banale lucidità omicida dell’ennesima lesbica assassina ai danni dell’ennesima lesbica ricattatrice.

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