Zero in condotta

24 settembre 2006

Improvvisato da Vigo in pochi giorni alla fine del 1932 e ancora sospeso tra muto e sonoro, questo celeberrimo racconto di una ribellione all'interno di un collegio maschile ha fatto scuola ed è rimasto un modello per i successivi racconti del genere (basti pensare a I quattrocento colpi di François Truffaut o a If... di Lindsay Anderson). Vigo vi esprime tutta la sua insofferenza per regole e istituzioni, e gioca con intelligenza la carta della satira, che gli permette anche di superare la frammentarietà degli episodi dovuta ai tagli imposti dalla produzione (il film non doveva superare i 40 minuti circa). Non serve allora un racconto compiuto e lineare, ma bastano pochi quadri slegati per riassumere tutta la stupidità della rigida istituzione scolastica del tempo, messa in burla dalla scelta di fare del direttore della scuola un querulo nano barbuto.


Il film ruota intorno all'iniziativa di quattro studenti, ispirati a compagni di gioventù del regista, che iniziano a meditare un piano di vendetta contro le imposizioni di un sistema educativo la cui miopia si riassume negli "zero in condotta" assegnati senza criterio dai docenti. Tutta la vicenda della rivolta ruota intorno al personaggio di Tabard, quello più autobiografico. Si tratta di un ragazzino il cui aspetto femmineo già suona come un affronto alle regole e ai tabù che sono della scuola perché sono della società borghese, cui la scuola deve preparare. Inizialmente Tabard viene guardato con sospetto dai compagni, ma viene rivalutato quando sembra convogliare su di sé le apprensioni dei docenti, preoccupati che la sua stretta amicizia con un altro allievo, Bruel, sconfini oltre il platonico.

Nella prima stesura della sceneggiatura la relazione di amicizia tra Tabard e Bruel conosceva uno sviluppo più approfondito e lineare: Vigo voleva rappresentare in Tabard il desiderio di trovare in Bruel una sorta di fratello maggiore, mentre i sospetti di omosessualità dovevano essere solo il frutto della malizia degli adulti. La struttura rapsodica della versione definitiva è però talmente frammentaria da non permettere di capire esattamente quale sia il rapporto tra i due e quanto siano effettivamente infondati i sospetti dei docenti. A emergere invece chiaramente, anche attraverso la vicenda di Tabard, è la rappresentazione del mondo adulto e borghese come represso, laido e castrante, soprattutto nell'episodio decisivo in cui Tabard è vittima delle attenzioni morbose del professore di chimica. Tabard reagisce con un «merde!», replicato poi di fronte al direttore, che scatena la rivolta generale. Tabard ne è a capo, scrive persino un manifestino, guida la parodia di una cerimonia religiosa che segna il culmine della prima guerriglia nel dormitorio e dirige l'assalto dal tetto durante la festa dei professori.


Rivolta sociale e rivendicazione della libertà sessuale si congiungono così nel tentativo di affermare il diritto alla libera scelta, che si esprime in un film splendidamente sospeso tra realtà e sogno ad occhi aperti, e che presta un'attenzione inconsueta, soprattutto per il cinema di quegli anni, al corpo. Vigo sposa integralmente il punto di vista dei suoi ragazzini e guarda il mondo con i loro occhi (letteralmente, attraverso la scelta dei punti di vista della macchina da presa), sfogandosi per i propri conti in sospeso con il collegio frequentato in gioventù, nonché per quelli del padre, cresciuto in un riformatorio. Allo stesso tempo, traspare lo spirito anarcoide del regista, e infatti il film è stato interpretato anche come satira della situazione politica della Francia dei primi anni '30. Bastò però il modo in cui venivano ritratti gli insegnanti per farlo bandire fino a dopo la seconda guerra mondiale.

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