recensione diAlessandro Rizzo
Un soft porn di riscatto: The Houseboy
L'idea del soggetto del film "The Houseboy", prodotto negli USA nel 2007, scritto dal regista Spencer Schilly, è abbastanza originaria e ben sviluppata. La narrazione segue la disposizione classica del racconto di riscatto, si può definire quasi di formazione, dove si inizia con una situazione precaria del personaggio, esistenzialmente di rottura, per, giungere, dopo alcune peripezie e difficoltà, alla conclusione in presenza di un deus ex machina che risolve l'intricata avventura di vita.
Ricky è un giovanissimo ragazzo che, una volta fatto coming out, si trova costretto a lasciare la propria famiglia, con cui non riuscirà più a riprendenre i contatti e i legami affettivi. Il protagonista andrà a vivere con una coppia più anziana di lui divenendo ciò che sta diventando una prassi nel mondo angloamericano, soprattutto rappresentato attraverso gli occhi della letteratura cinematografica: un houseboy, appunto, che soddisfa le esigenze sessuali dei due, aiutandoli nelle faccende domestiche, a fronte di un vitto e un alloggio.
Due cavalli alati di platonica memoria, uno bianco e uno nero, si contrattaccano e lacerano l'animo di Ricky che si troverà in una dimensione troppo manichea e poco complessa, spesso piuttosto semplicificata, magari banale, scontata, in cui è piuttosto definita una visione superficiale e alquanto didascalica dei personaggi, molti dei quali solamente accennati, poco riflettuti, limitatamente analizzati.
Possiamo vedere The Houseboy come film commerciale soft porn sotto alcuni punti di vista, dato che l'autore fa leva sulla tenerezza e la provocazione, sul patetico, il grottesco, il paradossale, l'inconcepibile. La fotografia è molto attraente dato che spesso il significante dell'immagine prevale sul significato e il contenuto della medesima, decontestualizzando, quasi, le icone, fatte di elementi sessuali, pornografici, fisici, molto piacevoli, raffiguranti sempre giovani ragazzi dai corpi prestanti, esteticamente estatici, e dagli atteggiamenti erotici e sensuali. Corpi nudi e fisici statuari dalla fresca carne, dalla delicata carnagione, alti e imponenti, pornograficamente contemplativi evidenziano un'esteticità sopraffina, quasi pittorica e impressionistica, aventi un loro volume quasi percepibile, come se si potesse toccare, che contrasta con il contenuto delle scene medesime, fatto di diseprazione e disumanità.
La scenografia diventa spesso orpello che passa in secondo piano facendo, ed è questo un pregio dell'arte del regista, immergere lo spettatore nel vortice di un travolgimento irrazionale e irresponsabile esempio di un'irrefrenabile ricerca di sé stesso. In questo viatico, quasi come se fosse un viaggio pericoloso e senza conclusione alla scoperta della propria Itaca, dai risvolti filosofici che potrebbero riprendere, con i dovuti distinguo comparativi, i percorsi di un Diogene alla ricerca di sé stesso attraverso la lampada, Ricky cerca l'amore romantico, l'attesa naturale di un principe azzurro, che altro non è il giovane vicino di casa che cercherà, alla fine, di riscattare questa sofferenza continua, dove vediamo solo autolesionismo e attività sessuale come palliativo agli affetti inesistenti. La spinta verso l'annientamento è palese così come l'arrivo a un punto di non ritorno in cui niente sembra più recuperabile e il fallimento umano l'unico elemento di certezza incontrovertibile.
Il Natale è il periodo più consono ad ambientare la storia, con le sue tinte fosche e grezze, fredde, con il suo significato di opulenza e divertimento massificato, tanto da dare all'ambiente un carattere ancora maggiormente algido, i colori alquanto cupi, sporchi e utili a darne una rappresentazione di artigianalità, tipica della cinematografia indipendente sullo stile di Gus Van Sant. Traspare nella sua eccessiva drammaticità declinata il desiderio quasi vendicativo del giovane ragazzo, abbandonato al suo destino incontrovertibile, che vorrebbe lasciare il suo corpo senza vita come ricordo ultimo e disperato a coloro che, suoi adottanti, lo respingono per futili capricci depersonalizzati e depersonalizzanti. L'alienazione si assapora molto bene, quasi in forma plastica, nella narrazione del film. I protagonisti che ruotano attorno a Ricky sono figure dispersive e deprimenti, ma anche perse: ormai le loro esistenze e le loro condotte sono abbandonate nel più totale nichilismo e nella più incurabile miseria, in cui i lati oscuri di ognuno di noi l’erotismo fine a sé stesso, l’autoesaltazione, l'edonismo irresponsabile, il sesso visto come distruzione ed eccesso senza limite, la noia come fonte di continua ricerca di un'evasione basata sul rischio, l'assenza di ideali e di senso di utilità per la collettività, l'individualismo e il menefreghismo si sussegono incessantemente. Il ritmo incalzante dei tempi della storia si palesano anche nelle inquadrature, sempre di grandi piani, vaste e ampie, con una sequenza di primi piani degli ambienti interni, la casa di Ricky, che da una sensazione di soffocamento.
Ricky è un antieroe che possiamo definire "fortunato" in quanto grazie a situazioni che si creano oggettivamente, non si comprende per quale motivo, forse in questo sta l'insufficienza dell'analisi dei rapporti tra i protagonisti, fuori dal proprio volere personale: una sorta di mano provvidente che ricalca un disegno imprescrutabile, riesce a riscattarsi e risollevarsi da un'esistenza caduca e sterile.