recensione di Mauro Giori
Come perdersi in un bicchier d'acqua
Jochen e la moglie Ina insegnano nella stessa scuola, frequentata tra l’altro anche dai loro due figli. Un giorno arriva un nuovo docente, il biondo Tom, e Jochen ne rimane fulminato, anche se a lungo negherà a se stesso, agli altri e soprattutto alla moglie che sia cambiato alcunché.
Pochi anni prima la storia si sarebbe poi svolta necessariamente così: quando Jochen entra in crisi per reazione maltratta pubblicamente Tom per meglio nascondere se stesso. In alternativa, la collega gelosa che si è inutilmente invaghita di Tom e che ne scopre la relazione con Jochen si sarebbe sfogata facendo esplodere lo scandalo e tutta la città si sarebbe stretta intorno alla povera Ina deprecando i due, costretti a fuggire dal Paradiso.
In Eine aussergewöhnliche Affäre invece Jochen elabora la propria situazione, sia pure con esasperante lentezza, e riscuote infine il sostegno e il rispetto di tutta la scuola, colleghi e allievi inclusi, al punto che si commentano con sufficienza quei pochi genitori che si sono lamentati quando uno studente lo ha sorpreso in un’aula a baciarsi con Tom.
Registrato con soddisfazione l’incremento di civiltà e il modo in cui si riflette nella ristrutturazione delle narrative omosessuali più classiche, apriamo i cahiers de doléances.
Il primo problema è che nulla viene a compensare l’assenza di sane tensioni e ciò con cui rimaniamo è solo una storia di noiosa, quotidiana banalità, buona giusto per una telenovela. Mancando scontri sufficienti a fare emergere la dignità di Jochen, la vicenda si riduce a una tresca più o meno meschina trascinata per due ore nelle quali aspettiamo solo che succeda quello che non può non succedere: e cioè che Ina finalmente capisca. E Ina proprio non collabora. Eppure non ci vuole molto a intuire che quando un marito fa jogging dieci volte al giorno pur di non stare con la moglie non è solo per tenersi in forma, e sarebbe il caso di parlarne prima che muoia d’infarto. Ma non manca nemmeno la proverbiale prova del nove: che dopo un cunnilingus fatto ad arte (a giudicare dal rapido orgasmo di lei) lui non voglia che si ricambi decisamente non è un buon segno. Certo nemmeno Jochen è proprio un’aquila e lo dimostra il fatto che, pur avendo avuto un’infinità di occasioni di parlare alla moglie, tutte ottimali, preferisce invece fare jogging per poi scegliere il momento meno opportuno, anzi quello decisamente autolesionista: fa coming out mentre lei è al volante. E poi si lamenta pure se la velocità dell’auto aumenta sconsideratamente… Comunque, dopo una risata isterica di Ina, tutto torna più o meno al suo posto. Compreso Tom, il quale nel frattempo, mancandogli la capacità di comprendere anche solo il minimo sindacale della persona di cui si dice innamorato e di aspettare che riordini la sua vita, ha rimorchiato in un locale il primo che capitava con la scusa più vecchia del mondo (“avevo bevuto e volevo farti soffrire”).
Il secondo problema è il ritardo che la fiction televisiva tedesca accusa su quella anglofona che da tempo ha spostato sensibilmente l’asticella del dignitoso. Eine aussergewöhnliche Affäre è confezionato al risparmio, senza perizia e con una luce che nemmeno in pieno sole riesce a non essere lugubre. Davanti a una macchina da presa senz’arte né parte si aggirano attori da filodrammatica costretti a recitare dialoghi a tratti imbarazzanti quanto i pochi vezzi che il regista si concede.
Esempio, la prima volta di Jochen e Tom. Jochen arriva a casa di Tom, chiede e ottiene un bicchiere d’acqua, ne beve un sorso e poi Tom appoggia su una sedia l’oggetto misterioso e il suo residuo contenuto trasparente. Carezzine, bacini, sorrisini. Dissolvenza al nero. Dissolvenza dal nero sul bicchiere ancora sulla sedia (con più acqua di quanta ne ricordassimo). Dissolvenza al nero. Dissolvenza dal nero su Tom e Jochen nudi a letto, dopo. Ecco, questo tipo di reticenza con metafora inclusa è quanto otteniamo laddove Pfeiffer si impegna a dare il massimo. Lascio ai posteri l’attribuzione di un eventuale significato metaforico al bicchiere in sé (e agli infiniti altri bevuti lungo tutto il film) e magari pure all’evidente errore di continuità. Io opto per la convinzione che il fruttivendolo all’angolo aveva semplicemente finito le mele. Ad ogni modo dell’ingenuo inserto non si sentiva davvero la necessità e lo si sarebbe utilmente potuto evitare, se non altro per accorciare un po’ il film (insieme a tanti altri tagli più o meno consistenti), il quale agonizza avendo tutto sommato ben poco da raccontare e dovendosi quindi sovente ripetere.
Chi sia però stato immunizzato contro la fiction televisiva tedesca da anni di Commissario Rex forse non troverà questi aspetti troppo disturbanti e riuscirà ad apprezzare quello che si può apprezzare, e cioè un prodotto televisivo tutto sommato politicamente corretto senza essere troppo scopertamente pedagogico. Non è il solito trattato per insegnare agli eterosessuali che gli omosessuali non sono cattivi e meritano rispetto, ma è un racconto alla pari dove tutto sommato Jochen e Tom non ci fanno proprio tutta questa bella figura. È evidente infatti che la regista è di parte e prova più simpatia per la povera Ina che per Jochen e Tom, tanto da chiudere il film su di lei che abbraccia in lacrime i suoi figli dopo la partenza del marito. Ah, questi omosessuali…