The Pure Lover

7 giugno 2013

David Plante, scrittore americano ma trapiantato in Inghilterra, nato nel 1941, non è molto noto in Italia, dove, nonostante un'editoria onnivora come la nostra, non mi pare che i suoi numerosi libri siano stati tradotti. In questa del 2009 che, se non erro, è l'ultima opera da lui finora pubblicata, l'autore rievoca il rapporto quarantennale col suo compagno, il letterato greco Nikos Stangos (1936-2004) il quale, dopo una laurea negli Stati Uniti, lavorò per tutta la vita a Londra (dove fu anche amico di Stephen Spender e della moglie), soprattutto all'edizione di libri d'arte, e vi morì di cancro. Il libro di Plante rievoca l'uomo amato concentrandosi soprattutto su due periodi: da un lato l'infanzia e l'adolescenza di Stangos, vissute in un'Atene funestata dapprima dall'occupazione tedesca, poi dalle lotte intestine che seguirono la Seconda Guerra Mondiale, dall'altro gli ultimi mesi della sua vita, straziati da una malattia che, avendo colpito anche il cervello, gli distrusse pian piano oltre al fisico le facoltà mentali. Si tratta di una serie di paragrafi brevi, a volte addirittura epigrafici, nei quali l'autore si rivolge sempre al compagno in seconda persona, quasi a volerlo richiamare in vita e, nel contempo, a voler rievocare a sé stesso attimi vissuti insieme o fasi della vita conosciute soltanto de relato. In fondo, la dialettica di assenza e presenza, di comunione e distanza innervano tutto il libro: il contatto fisico, l'abbraccio di Nikos è ricordato spesso, ma Nikos è anche linguisticamente e culturalmente lontano; la sua grecità è sì quella classica, ma anche, orgogliosamente, perfino snobisticamente, quella bizantina e ortodossa degli avi greci di Bulgaria e fanarioti, anche in polemica con un'Atene mai percepita del tutto come patria, e Nikos è insieme letterato di lingua inglese e poeta di lingua greca. La faglia che minaccia senza tregua la stabilità della coppia durante la malattia diventa cesura violenta a causa sia della morte, sia, soprattutto, della sepoltura dell'amato fra i suoi familiari greci; eppure Plante proprio a questo punto recupera un senso di comunione oltre la morte nella speranza d'una vita futura di nuovo vicini e, per intanto, nella coltivazione d'una memoria che s'incarna nella scrittura. Scrittura che, nonostante la sua natura evocativa ed allusiva, con passaggi d'effusione lirica, rimane costantemente caratterizzata da una semplicità di linee che la rende sempre sincera e mai compiaciuta. Peccato solo che il libro, graficamente curato e abbellito da una foto di Plante e Stangos giovani e felici, presenti qualche poco gradevole trascuratezza nell'ortografia delle parole in italiano e in greco antico che qua e là vi compaiono.
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