Crepate tutti!

12 giugno 2013

L’idea di raccontare le vicende d’un gruppo di giustizieri della notte che riaggiustano con metodi spicci le iniquità e gli errori che permettono ai delinquenti di sgusciare fra le maglie della giustizia è, a ben vedere, vecchia come il cucco: dal punto di vista letterario ha perfino antecedenti nobili nelle trasfigurazioni più o meno gotiche della Santa Vehme presso i romantici tedeschi; ma Jones-Gorlin deve molto di più ad opere più vicine a noi come il film di Peter Hyams Condannato a morte per mancanza di indizi (il cui titolo originale, The Star Chamber, evoca il nome del temibile tribunale inglese della Camera Stellata) e Le notti selvagge del francese Cyril Collard (libro e film), fondendone i temi: i giustizieri qui sono difatti un gruppo di poliziotti d’un commissariato della banlieue parigina che condannano a morte e ammazzano criminali per lo più di origine straniera, in base ad una confusionaria dottrina parecchio sciovinista e razzista fondata sul mito della seule France dalle ascendenze merovingie. Jean, poliziotto gay molto closeted, biondo e carino, vi entra a far parte per una serie di circostanze molto banali e verosimili, ma la sua vita cambia quando s’innamora di Rachid, fratello d’uno spacciatore di famiglia algerina, Hamid; Rachid è bellissimo, studia e gli piace girare video, ha un carattere sempre allegro e motteggiatore, e ricambia generosamente l’amore di Jean. Il paragone che a questo punto forma l’autore con la vicenda di Romeo e Giulietta non è affatto casuale, perché anche questi due giovani innamorati si trovano schiacciati dalle famiglie di appartenenza: la comunità maghrebina per Rachid, per Jean la polizia e soprattutto il gruppo segreto di assassini cui appartiene, ma anche il retaggio d’un’educazione omofobica che gl’impedisce di vivere con serenità il suo orientamento sessuale e perfino la passione che prova verso Rachid. È significativo, in relazione a ciò, che l’unica figura paterna positiva ed anzi nobile all’interno della storia non sia né quella del padre biologico del protagonista, violento, rozzo e ignorante, intriso di pregiudizî e d’omofobia rusticana, né quella del suo secondo padre, il poliziotto anziano Raymond che lo introduce nel gruppo dei giustizieri, bensì, quella del padre di Hamid e Rachid, un algerino barbuto intonacato in una djellaba dalle fogge tradizionali, avvezzo a parlare con solennità citando il Corano; ed è altrettanto significativo che il disprezzato ispettore Leroy, il burocrate grigio e freddo, verso la fine della vicenda dimostri invece senso di responsabilità e sangue freddo. Manca un lieto fine convenzionale, ma non se ne sente la mancanza: quello ideato dall’autore mi piace molto, anche grazie al suo taglio spiccatamente cinematografico; e l’introduzione di parti scritte a mo’ di sceneggiatura (del resto, Rachid non è un videoartista?) serve anche altrove ad accrescere il ritmo già spigoloso e mercuriale della narrazione. La scrittura di Jones-Gorlin infatti è spezzata e nervosa, ma non povera: e nella rievocazione dell’amore tra Jean e Rachid sa colorarsi d’impetuose vampate dionisiache.
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