Buddies

5 agosto 2013

Lo scrittore americano Ethan Mordden è un autore prolifico di narrativa, che ha scritto negli anni una lunga serie di brevi racconti radunati in una serie di sillogi denominata collettivamente Buddies; e Buddies s'intitola anche la prima di queste raccolte, ch'è altresì la prima che ho letto. Non ho idea se le successive siano strutturate allo stesso modo, cioè con racconti in prima persona, tutti disposti in ordine cronologico a seguire le fasi della vita del protagonista, il quale poi è Mordden stesso; la disposizione però non trasforma il libro in un'autobiografia, perché le storie non mettono tanto in evidenza i casi che capitino al narratore, quanto gli uomini in cui s'imbatte, le esperienze che costoro riferiscono, e soprattutto le caratteristiche dei varî ambienti soprattutto newyorkesi raffigurati in ciascuna novella. Si può dire anzi che le due colonne portanti della narrativa di Mordden, almeno in questo libro, sono la celebrazione dell'amicizia virile e l'affettuoso ritratto del mondo gay nella New York posteriore alla rivolta di Stonewall. L'universo di Buddies è tutto di maschi: moltissimi gay, ma non tutti, perché lo scrittore ama assai rappresentare i sodalizî e le complicità tra uomini gay ed etero, e perfino degli etero fra loro: Mordden sarà forse maschilista, ma di sicuro non è separatista. Gay però è il nucleo di figure attorno alle quali ruotano le diverse vicende: il narratore, l’amico Dennis Savage col suo svampitissimo compagno Little Kiwi e il cane di questi, Bauhaus, e il loro amico Carlo, uomo saggio e di grande esperienza (anche come marchetta e pornoattore), il quale sotto il nome d’arte dal suono esotico (per gli americani, ovviamente) cela un’identità da campagnolo del Sud Dakota. Ma i personaggi sono moltissimi, ricchi e poveri, sofisticati e semplicioni, simpatici e odiosi; e a volte anch’essi raccontano di sé, dando vita così a brevi storie nella storia; il narratore sta un po’ a guardare, ma ogni tanto viene allo scoperto anche lui, spesso per una frecciata ironica o per un’arguzia deliziosamente snob, come quando nota con vago tono inorridito che esistono stati degli U.S.A. che addirittura sono del tutto privi di teatri d’opera; né mancano pezzi di bravura stilistica come l’esilarante monologo di Carlo ubriaco. Tra la città e le spiagge di Fire Island la vita si snoda fra riti, ritrovi e pettegolezzi saporosi, lieve e solare: ci sono le ombre in agguato, ma la generosità, il cameratismo e la solidarietà fra maschi le ricacciano lontano. La scrittura di Mordden suona sempre gustosa, mai pesante, col solo limite, per il lettore italiano, dato dal fatto che numerose allusioni a spettacoli o personaggi americani gli vengono inevitabilmente a sfuggire, sottraendogli così una parte del piacere derivante dall’ironia di cui l’autore irrora le sue storie. Si tratta però, a conti fatti, d’un inconveniente di poco peso. Il libro rimane sempre godibilissimo, anche perché sa essere leggero senza mai diventare superficiale.
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