E sarai per sempre giovane

19 agosto 2013

"… e fra i due destini non so per quale tenere" ci dice un qualche narratore dall'identità indeterminata nell'incipit di questo duetto (o polifonia) di voci femminili che compone il secondo romanzo di Anna Maria Carpi, uscito nel 1996. Quell'"io" delle prime righe non comparirà mai più in forma diretta; attraverso di lui, si può supporre (non ci è mai chiaro se dalla distanza di chi racconta una storia inventata o dalla prossimità di chi riporta delle esistenze vere, ma lontane da sé), vengono però filtrati gli ego delle due amanti protagoniste di questo romanzo. Le loro vicende sono restituite attraverso una terza persona piana, fluida e talora crudele, straordinariamente puntuale ora nel delineare, ora nell'esaltare gli oggetti, gli uomini e i loro rovelli; e tra le righe scorre quell'ironia crudele ma sincera che viene da un affetto forte, spregiudicato. Il tono è quello di un colloquiare tangibile, che ha pieno controllo sulle parole e su ciò che esse devono esprimere.
Meta, la femminista intraprendente, che sa stare al mondo anche senza tutori o maestri (malgrado, e non sappiamo se crederla, affermi di averne voluti), è tutto sommato la voce che con più forza discute, si impunta, chiacchiera, trova sempre un modo per farsi sentire più degli altri; la prospettiva dominante, da un punto di vista strettamente narrativo, è la sua – sia nella prima sezione, dedicata all'amore intenso e terribile fra le due protagoniste, sia nella seconda e nella quarta, che ne dipingono la scalata verso il grande successo come attivista, puntellata da una serie di amori (sempre lesbici) iniziati ed interrotti, che lasciano il personaggio altrettanto incompleto e – nel suo dubitare, nel suo essere in difetto – credibile. Meta ci accompagna attraverso le grandi lotte del femminismo (e, tangenzialmente, del movimento omosessuale) dopo il '68; il bilancio che ne emerge è euforico, esagitato eppure ambiguo e frenetico quanto il personaggio attraverso cui l'intero processo viene filtrato. A Saskja, più ruvida, eternamente infantile e dipendente dagli altri, creativa, fallimentare, è riservata per intero giusto la terza sezione, dove il suo monologo fatto di egocentrismo, ricordi, bisogni (e affatto privo di un suo lirismo un po' ubriaco, quasi accidentale) è puntellato dalle private e timide riflessioni di una voce più minuta, un'amante umile che si fa piccola e silenziosa per ascoltare, per farsi accarezzare e maltrattare, anch'essa incapace – a suo modo – di fare i conti col mondo. È come se la loro grande insicurezza riducesse lo spazio di storia che hanno a disposizione a fronte alla volontà strabordante di Meta, col suo incedere apparentemente sicuro ed incrollabile.
Parrà forse inopportuno, ma in questo quadro il mirabile impegno della Carpi nel campo della traduzione (principalmente dal tedesco) è un conto che torna perfettamente: l'autrice si è "traslata" in un contesto non suo – quello dei Paesi Bassi e, tramite i ricordi d'infanzia di Saskja, delle Antille (ma fanno capolino anche la Francia, la Germania divisa e riunita, il Nord Europa) – con quel talento per la parola giusta che possiedono i grandi traduttori, e che è fondamentale per far sì che i luoghi del romanzo si alzino davvero dalla pagina, anziché rimanere immagini mentali; e poi vi è quella finezza nel far convivere nelle righe tutti questi modi di essere donna, nella loro uniformità come nella loro distanza, dando a ciascuna la lingua (e il corpo) che le spetta. Ognuna creatrice di un suo destino che, le si ami o le si odi, qualcosa sembra pur lasciare – quanto meno un dubbio, una domanda, un qualche tipo di affetto.
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