Fremd bin ich eingezogen, fremd zieh' ich wieder aus

20 agosto 2013

Mi chiedo sempre perché i romanzi di Paul Russell non siano tradotti in Italia, ove pure si traduce un po' di tutto: fa eccezione The Salt Point, che a quanto mi dicono uscì anni or sono ma sparì ben presto dalla circolazione. E dire che lo scrittore americano potrebbe anche lasciare qualche fruttuoso suggerimento agli autori di casa nostra, per esempio con l'incoraggiarli ad uscire dalle storielline minimaliste per affrontare il rischio di qualche vicenda densa, piena di accadimenti, di pensieri e di personaggi, e raccontata senza taccagneria di mezzi, a costo, magari, di scivolare un po' nel melodramma: ché perfino il melodramma, se padroneggiato a dovere, può trasformarsi in ottima letteratura.
Non so se Russell sia uscito da qualche scuola di scrittura creativa: se così è, però, vuol dire che sa padroneggiare i ferri del mestiere con perizia; non lascia intravedere né abbozzi né tibicines: la facciata si erge compiuta e immacolata; e tuttavia senza che vi traspaiano lo sforzo e l'artificio servile.
Per giunta, il tema trattato, benché un classico, è fra quelli sui quali gli autori di narrativa gay odierni sorvolano con sospetta disinvoltura: l'amore fra un insegnante (invero giovanissimo: appena venticinque anni; da noi, non che fare il professore, starebbe ancora sui banchi dell'università, oppure sarebbe disoccupato) e un alunno quindicenne, in una di quelle tipiche scuole del New England, non lontana da New York, sepolte fra il verde e orgogliose delle loro placide tradizioni: amore che comincia sottovoce, oscuro, inconfessato, per poi sbocciare da entrambe le parti in una fioritura dionisiaca. Amore contrastato, anche: perché dove la legge nega ciò che al cuore par ovvio e naturale, la felicità non può che restare clandestina, precaria e minacciata; ma dove un romanziere più corrivo avrebbe fatto scivolare il melodramma fino alle sue conseguenze più trucide e trite, Paul Russell ne diverge l'esito verso una conclusione pacificata, nella quale, però, anche maturazioni e guadagni si screziano di malinconia. Nelle perdite che fortificano non c'è soltanto il buio; ma la luce vi lascia sempre zone d'ombra.
A questo tema portante l'autore, avvezzo alla scrittura polifonica, intreccia le vicissitudini di altri personaggi, dal Dr Tremper, il preside della scuola, a sua moglie Claire, al vecchio professore donnaiolo e innamorato della Grecia a sua moglie Libby, alla figura rievocata del defunto preside Emmerich, agli scolari dell'istituto, fra i quali un gay ossigenato e flamboyant, ai gay amici del protagonista Tracy, uno dei quali, Arthur, già allievo proprio di Emmerich e di Tremper nella medesima scuola, si tiene in vita fra uno scoppiettare barocco di sofisticate stravaganze a scorno d'un corpo devastato dall'AIDS: tutto un complesso giuoco di specchi e rimandi, nel quale molte situazioni si ripetono, ma con piccoli scarti ogni volta, ad attestare che l'eterno ritorno può essere sempre mitigato dalla libertà morale degli uomini. E questo sottofondo positivo innerva l'intera rete di storie, ove anche le aridità e le sconfitte possono colorarsi di bene.
Tutto il romanzo è pervaso da una sottile velatura di bruma nordica, evocata dai frequenti richiami alla musica del romanticismo tedesco: lo si può anzi leggere come una sorta di Winterreise, a mo' del ciclo di Lieder tanto amato dal preside Tremper e poi, grazie a lui, anche da Tracy, i cui echi nascosti, con sottile preterizione, sono dislocati in numerosi punti salienti della storia; qui però, alla fine del viaggio invernale, s'intravede un alito di primavera. Ed anche i richiami alla figura di Thomas Mann sono numerosi: Louis Tremper, che ha visto Mann da ragazzo, per qualche riguardo addirittura viene a identificarsi con lui nella negazione delle proprie pulsioni omosessuali e in un rigore morale che, nella sua tinta stoica, tenderebbe a diventare quasi disumano, se verso la conclusione del libro non venisse a stemperarsi in una complessa dirittura etica illuminata e dolente.
Lo stile di Russell appare, come sempre, dovizioso, per opulenza di vocabolario, capace di giustapporre con naturalezza termini scelti e colloquialismi, ed ampiezza d'un fraseggio mai pago delle secchezze oggi diffuse nella prosa americana, e incline anzi alla paratassi. I dialoghi, però, suonano freschi, senza legnosità o ricercatezze innaturali; e a volte vi scintillano perle di grazia camp o di acuminato umorismo metropolitano. Né manca un pezzo magnifico di teatro nella scena con Noah e suo padre nell’ufficio del preside, verso la fine della storia: teatro che stavolta, più del romanticismo tedesco, ricorda il Mozart dei drammi giocosi: la scena presenta il giuoco d’incastri della commedia, il brio e la sapidità dell’operetta; ma i personaggi vanno incontro, ciascuno a suo modo, a un disinganno doloroso e a una sconfitta. Sono poche pagine, che però l’autore padroneggia con bravura. E questa naturalezza nel mescere l’amaro al dolce me lo rende molto caro.

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autoretitologenereanno
Paul RussellSalt Point, Theromanzo2000
Paul RussellSea of Tranquillityromanzo2003

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