Dieci piccoli londinesi

5 ottobre 2013

Nella più che mai favorevole temperie televisiva degli ultimi anni, ci sono stati tentativi di affrancare il genere giallo dalla nefasta piega poliziesca/procedurale che ha preso il sopravvento con CSI, NCIS e altri meno fortunati acronimi. Il risultato è stato quasi sempre un drammone pseudo-psicologico – gli investigatori sono dei relitti umani in rotta di collisione col mondo, i sospettati sono terapeuti o preti, le vittime hanno sempre meno di diciott'anni – talvolta con risultati molto buoni (Forbrydelsen e il suo remake The Killing, oppure i recentissimi Broadchurch e The Fall).

What Remains è qualcosa di diverso e inusitato, almeno per la tivù seriale: niente colpi di scena e rivelazioni a orologeria, niente inseguimenti sfrenati e salvataggi dell'ultimo minuto, niente assassini che riescono a fuggire nell'ombra fino all'ultimo episodio, niente intuizioni miracolose che scaturiscono da dettagli insignificanti, niente tracce di sperma che invariabilmente affollano le scene del crimine dei procedurali di cui sopra. Per definire lo stile della serie, uno spettatore superficiale potrebbe usare un termine, “lento”, che dovrebbe essere bandito da ogni discussione cinematografica: What Remains è la storia che Agatha Christie concepirebbe se fosse ancora in vita, ed è scritta meglio di quanto facesse Agatha Christie.

Non è un caso che i personaggi della serie siano dieci (come i piccoli indiani), che vivano tutti nella stessa palazzina in un quartiere del Sud di Londra, che nella palazzina si sia consumato anche il suicidio (o si tratta di omicidio?) della giovane misantropa sovrappeso Melissa Young, che la regia e la sceneggiatura insistano sul senso di reclusione e di sospetto incrociato, che l’investigatore non faccia (più) parte della polizia, che i personaggi siano tutti ben tratteggiati ma anche tutti distanti e sgradevoli, che ognuno di loro abbia un più o meno terribile segreto, che la legittima curiosità per il whodunit sia in realtà un mero supporto per le numerose occasioni di critica sociale presenti nei quattro episodi, che la soluzione del caso sia più dolorosa che emozionante e inattesa.

Due delle inquiline della palazzina sono Elaine e Peggy, la coppia lesbica dell’appartamento al secondo piano. Le due sono invise a tutti gli altri pigionanti e vengono apostrofate dalla bionda del piano di sotto con l’epiteto “lipstick lesbians”: effettivamente non le vediamo mai in atteggiamento affettuoso (e civile) se non per brevissimo tempo e di fronte ad altre persone, ma l’impressione di freddezza che altrimenti trasmettono affonda le radici nel segreto che nascondono. Particolarmente riuscito è il personaggio di Elaine, una donna impietosa, dispotica, volitiva, probabilmente la più insopportabile della serie: è interpretata dalla peritissima Indira Varma, già nota per aver dato corpo e voce alla sventurata Niobe in Roma della HBO.

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