recensione diMarco Valchera
Una casa alla fine del mondo
Non considerando Golden States, primo romanzo giovanile inedito in Italia, in seguito rinnegato dallo stesso autore, Una casa alla fine del mondo è l’esordio ufficiale di Michael Cunningham. Vengono raffigurate le esistenze di due giovani, Bobby e Jonathan (che si rivelerà essere il vero protagonista), dalla loro infanzia fino alla maturità e al loro divenire uomini. Le loro vite sono intrecciate in un rapporto unico di amore, amicizia, fratellanza, che li porta ad abbandonarsi, per poi ritrovarsi, alcuni anni dopo, e tentare di creare una famiglia, anche con Clare e sua figlia Rebecca, avuta con Bobby, e di costruire un luogo di protezione, lontano dai pregiudizi e dagli stereotipi, “la casa alla fine del mondo”. Il romanzo, con un narratore in prima persona, che cambia lungo tutto il corso della narrazione, tecnica che Cunningham utilizzerà nuovamente in Flesh and Blood e in The Hours, è strutturato in tre parti. La prima si apre con i due protagonisti all’età di cinque anni (siamo negli anni Sessanta), e li segue fino alla loro adolescenza, al momento di ricevere il diploma e alla scelta del futuro che li porterà a dividersi: Jonathan partirà per il college alla New York University, mentre Bobby rimarrà a Cleveland, nel tentativo di diventare cuoco. I due, figli di tragedie familiari, si conoscono ed iniziano a sperimentare il loro rapporto, fino a quando sono scoperti dalla madre di Jonathan, Alice, eterna Wendy di Peter Pan, spaventata dalla presunta omosessualità del figlio.
La seconda parte vede un cambio totale di scenario: Jonathan vive a New York, in un appartamento con Clare, una donna di trentasei anni con la quale ha instaurato una fortissima amicizia che supera il confine dell’amore reciproco. I due pianificano addirittura di avere un figlio insieme, visto che Clare ormai si sente tradita dagli uomini ed è convinta che Jonathan sia per lei la migliore occasione. Jonathan è critico gastronomico presso un settimanale di discreto successo, pur non capendo nulla di cucina. Proprio il suo lavoro lo porta a conoscere Erich, barista, aspirante attore, che diventa il suo amante senza alcun tipo di complicazione sentimentale. Ma l’amore si ripresenta con il ritorno di Bobby, che rimane folgorato anche da Clare: nasce, così, una famiglia atipica a tre, gli Henderson, che si scioglierà soltanto a causa della violenta gelosia di Jonathan e del suo inappagato senso di ricerca di sé. È, inoltre, terrorizzato, a contatto con la malattia del padre, di aver contratto l’AIDS, di essere sul punto di morire, di non riuscire più a essere partecipe della sua esistenza.
Le strade dei tre si incrociano di nuovo: Clare è rimasta incinta e così tutti insieme, con la figlioletta Rebecca, decidono di trasferirsi lontano da tutti, in un casale in campagna, una piccola bolla di felicità, dove nessuno possa toccarli. Ma l’arrivo di Erich, malato terminale di AIDS, sconvolgerà i loro piani.
Una casa alla fine del mondo è uno dei migliori esordi della narrativa contemporanea: sincero, romantico, anticonformista, ha svelato, fin da subito, l’indubbio talento di Michael Cunningham, che vincerà il Pulitzer con il suo terzo romanzo, Le Ore. La struggente figura di Jonathan, con le sue incertezze, la fuga da sé, i timori della malattia, si imprime alla memoria del lettore, così come la toccante scena finale. Non si tratta solo di narrativa omosessuale, ma di qualcosa di più: del potere della scrittura, della capacità di suscitare emozioni, della delicatezza della parola, elementi che rendono Una casa alla fine del mondo un’opera memorabile.