recensione diMauro Giori
Marigold Hotel
Nella storia di questi sette personaggi non più giovani, i quali si ritrovano casualmente in India in un hotel-ricovero che sarebbe clemenza descrivere come cadente, gestito da un giovane con tante ambizioni, pochi soldi e la solita madre indiana di ristrette vedute, non vi erano potenzialità che andassero al di là di una comune commedia romantica in variante senile. Cinque dei protagonisti sono infatti nuovamente in cerca d’amore, più o meno consapevolmente: due di loro si erano già incontrati in un appuntamento al buio a Londra ma si erano scartati perché entrambi avevano mentito sull’età; Douglas è accompagnato dalla moglie ma ha solo bisogno di un po’ di tempo ancora per ammettere che il matrimonio è finito, e lo aiuta Evelyn, vedova di cui si innamora ricambiato; Graham è alla ricerca del grande amore della sua vita, un indiano con cui aveva avuto una breve relazione da studente e che aveva poi abbandonato quando la famiglia del giovane, scoperta la loro relazione, era stata travolta dallo scandalo e costretta a trasferirsi.
Dalla placida superiorità morale con cui tutti i personaggi accettano la naturalezza delle cose (si tratti della morte o dell’amore, in ogni sua forma) emana un’aura riposante. Così nessuno mostra scandalo nei confronti di Graham, e anzi lo scandalo è tutto nel passato, oltreché nella sua mente. Il giudice in pensione scoprirà infatti di essersi preoccupato invano per il suo amato, che aveva in realtà trovato presto un modo per salvare capra e cavoli.
Nel trattare la vicenda di Graham si direbbe quasi che il regista John Madden voglia farsi perdonare quella discussa e dimenticabile gherminella che era il suo Shakespeare in Love. Tanto che dopo la morte di Graham in effetti il film sostanzialmente esaurisce il suo interesse, perché si avvia senza fretta verso un prevedibile lieto fine per tutti i sopravvissuti, accomodante e senza sorprese.
È però l’intera vicenda a essere in sé pretestuosa e senz’altra ambizione che quella di offrire l’occasione ad alcuni grandi attori della scuola inglese di ritrovarsi insieme e di intrattenere il loro pubblico. E se la battuta migliore spetta a Maggie Smith («Words fail me», dice quando le chiedono un parere sull’hotel che è per lei un carcere), Judy Dench e Tom Wilkinson (nella parte di Graham) non sono certo da meno.