recensione diMauro Giori
Every Day
Le commedie malinconiche sulla fine della vita e sulla noia che la precede hanno bisogno più di un buon cast che di un buon regista. È questo il caso: Brian Dennehy nei panni del padre burbero è misurato quanto Helen Hunt in quelli della madre sull’orlo di una crisi di nervi; Liev Schreiber funziona nella parte del padre che foraggia la famiglia sopportando un capo (gay) poco condiscendente (che chiede agli sceneggiatori sempre più sesso e sempre più stramberie); Ezra Miller va più che bene per interpretare Jonah, il figlio gay dolce con tutti (soprattutto con il fratello più piccolo) e relativamente remissivo con i genitori. In effetti quasi una sorpresa per chi lo ricorda soprattutto in parti che farebbero passare la voglia di genitorialità a chiunque, come nel caso del figlio nevrotico di Another Happy Day (dove in effetti era in buona compagnia) e di quello psicopatico in …e ora parliamo di Kevin.
Jonah è alle prese con le sue prime avventure che mettono ansia al papà, meno alla mamma (che ha altro cui pensare, dovendosi occupare del padre malato terminale con cui non ha mai avuto un gran rapporto). Siccome poi la famiglia deve uscirne bene, le apprensioni del papà devono avere un fondamento: e quindi ecco Jonah finire in una discoteca gay che metterebbe l’angoscia a chiunque (ma in questo sono prevenuto, lo ammetto), subito concupito da un giovanotto di almeno una decade più vecchio con scritto in fronte “guai”, il quale cerca di costringerlo ad assumere droghe per poi farselo in un quarto d’ora. Ma la famiglia, appunto, è una di quelle perbene, e quindi Jonah si sottrae a tutte le tentazioni e torna a casa comprensibilmente scosso, così come il padre ritorna pesto dalla sua scappatella (pure quella con condimento di droga) e alla fine tutti vissero felici e contenti. Tutti tranne il nonno, che comunque muore solo dopo aver fatto il primo complimento della sua vita a figlia e nipoti, svelando un insospettabile (per i personaggi, non certo per lo spettatore) lato umano.
Nonostante questi aspetti prevedibili e tradizionali, la commedia tiene, se la si prende per quello che è: un pezzo di garbata Hollywood classica trapiantata nel nuovo millennio e opportunamente aggiornata nei temi e nei personaggi.