Vegnarà la primavera, fiorirà le marenele...

14 dicembre 2013

Al contrario di molti veneti di ceto signorile o borghese, Comisso non possedeva terreni agricoli di famiglia: giunto a trentacinque anni, si comperò tuttavia una casa di campagna con un podere, grazie ad alcuni guadagni realizzati scrivendo. Quelli erano tempi beati nei quali con un podere si potevano sostentare dignitosamente padroni e mezzadri, soprattutto se i padroni erano intelligenti e umani come il Nostro, e i mezzadri erano bravi agricoltori come i suoi; naturalmente, bisognava saperci fare: da un lato imparare umilmente i cicli vegetativi, le attività necessarie a far fruttare la terra, il bello e il brutto d'una vita isolata e sottomessa ai capricci del tempo, dall'altro essere capaci di trattare coi contadini, diffidenti per natura verso le novità e soprattutto verso un padrone nuovo, e inclini perciò a raggirarlo per paura d'esserne a loro volta raggirati e vessati. Comisso arrivò ad amare in poco tempo i suoi campi e la gente semplice che lo circondava. Zero Branco, dove aveva acquistato la terra, è appena fuori Treviso, ma ancora ottant'anni or sono ciò significava una distanza molto marcata: la vita di città e quella di campagna, perlomeno nel vecchio Veneto patriarcale e rurale, rimanevano due realtà che a stento comunicavano; ma per andar d'accordo con coloni, bovari e piccoli artigiani di paese lo scrittore non doveva punto faticare: il mondo che amava di più era quello, com'era stato in precedenza l'ambiente dei pescatori chioggiotti, e gli aneddoti sulle figure del suo universo rustico brillano per sincerità, vitalità e freschezza. Anche l'amore per la terra e i suoi ritmi fu robusto e privo d'idealizzazioni estetizzanti: certo, Comisso non era un campagnolo e non era nato nella povertà d'una casa colonica; eventi come il festeggiare bacchico l'uccisione del maiale, dove la sera si finiva per ballare un po' brilli inciampando negli ossi spolpati sparsi sul pavimento, gli riuscivano estranei e sgradevoli, benché il disagio fosse anche dovuto all'addensarsi dei nembi di guerra sull'Italia: ma per chi conosceva la penuria e la monotonia del cibarsi sempre di polenta, radicchio e minestrone, la sguaiataggine lievemente macabra di tali ribotte rusticane costituiva un periodico, provvidenziale sollievo pieno di gioia. Però un libro di memorie come questo dà anche un quadro vivo e realistico del mondo contadino veneto di allora: un mondo fatto di ristrettezze, ma reso stabile e umano da leggi secolari e costumanze che apparivano allora immutabili. Soltanto con la seconda guerra mondiale e i subitanei guadagni apportati dal mercato nero l’ordine si ruppe: le ultime pagine di questo libro valgono meglio d’una catasta di saggi sociologici a dare ragione di quel mutamento etico e antropologico che nel Veneto dell’ultimo mezzo secolo ha cagionato tanti guasti. Accanto a tali annotazioni, Comisso però dipinge anche il suo mondo interiore, e ricorda con brevi tocchi di penna l’amore intenso per la vecchia madre, la quale passò i suoi ultimi anni con lui dopo che la casa di Treviso era finita distrutta dai bombardamenti, e l’affetto intenso per due ragazzi molto amati, Bruno e Guido. La passione omosessuale per questi ultimi è soltanto allusa, com’è abituale in Comisso, e come del resto l’ambiente culturale e editoriale dell’Italia di allora rendeva necessario: ne avvertiamo però tutta la drammatica forza soprattutto nell’accenno pudico al pianto sgomento dello scrittore quando seppe che Guido era stato ucciso per errore dai partigiani, e nel turbamento che gli recava poi ogni aspetto minuto della vita quotidiana che gli rammentava gli anni passati insieme. Alla fine, i cambiamenti sociali lo costrinsero a vendere questo nido di pace in cui aveva sperato d’invecchiare; ne portò tuttavia sempre con sé, oltre alla memoria, una traccia indelebile nel bisogno che avvertì subito, anche nella sua nuova casa, di avere un pezzo di terra e un orto da curare, per sentirsi ancora in simbiosi con quel ritmo eterno della natura con cui del resto lo aveva sempre fatto palpitare all’unisono la sua indole paganamente vitalistica e sensuale ma nel contempo aliena dalle sofisticazioni decadenti.
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