recensione diMauro Giori
Una sberla, come una farfalla...
Se il battito d'ali di una farfalla può provocare disastri ambientali, immaginate cosa può produrre una sberla. I drammi di una quindicina di personaggi, legati alla comunità greca di Melbourne, sono articolati tutti intorno a tale evento, di estrema banalità: uno schiaffo ricevuto da un bambino pestifero durante una festa di compleanno. Pur offrendo solo il pretesto per innescare un racconto a staffetta interessato ad approfondire i diversi personaggi, scegliendone otto cui intestare i singoli episodi, l’evento in sé appare tuttavia troppo esile: si vorrebbe trascinare lo spettatore in un vortice di ambivalenze e di chiaroscuri valoriali, ma il fatto è che il bambino in questione è a tal punto odioso, e i suoi genitori così ovviamente immaturi, che gli atteggiamenti di coloro i quali si schierano dalla loro parte appaiono inevitabilmente affettati e sospetti. Anche se nel corso del racconto emergono elementi che spiegano in parte queste prese di posizione, il meccanismo narrativo appare manipolatorio nel modo in cui vorrebbe indurre lo spettatore a coinvolgimenti emotivi da soap pur di fronte a un prodotto che ha altre ambizioni, puntando al dramma con personaggi a tutto tondo e irresolubilmente ambigui.
Il paradosso non sembra risolversi, ma la complessità del lavoro è sufficiente a raggiungere un risultato non sgradevole, benché la tensione accusi occasionali cedimenti e i personaggi siano in fondo risaputi: il quarantenne in crisi di mezza età che si lascia tentare dalla babysitter; l’orfana che confonde desiderio di paternità compensativo e amore; genitori opprimenti della tradizionale famiglia greca; il macho arricchito che si sente un gradino sopra gli altri, anche due; la moglie remissiva, al punto che ogni tanto le prende; la donna in carriera che non riesce ad accettare la maturità dell’amore di un ragazzo con la metà dei suoi anni; e infine anche l’adolescente gay (Richie) che si sente malato e non riesce ad accettarsi.
A differenza di quanto accade nelle soap, inoltre, le vicende si esauriscono completamente nell’arco degli otto episodi, diluendosi in un lieto fine generalizzato. Tutto finirà bene anche per Richie (cui è dedicato l’ultimo episodio), il quale sopravvive al (contenuto) bullismo dei compagni di scuola, a un tentativo di suicidio e alle paturnie della sua amica che si era inventata di essere stata violentata dall’uomo di cui anche il ragazzo è segretamente innamorato. Richie si ritrova alla fine anzi decisamente giulivo, non si capisce bene se più per essere finito tra le braccia di un coetaneo o per l’iphone ricevuto per il suo compleanno.
Con qualche graffio in più e senza la copertura glassata del finale, che la fa assomigliare troppo a un’accomodante commedia hollywoodiana, la serie sarebbe stata più convincente, ma rimane di buona fruibilità, grazie anche a interpretazioni di livello medio-alto.