recensione diDaniele Cenci
I confini del paradiso
"Marinare" la vita trasportati dai fiumi notturni, stravolti dalla meccanica della felicità; farsi attraversare dalla "farfalla" degli occhi di un ragazzo, mentre un "eros impunito" trasvola su continenti e sfere per ritrovare l'adolescente dominatore, un "Narciso dell'Oriente" che giunge dal deserto come tutto ciò che procura vertigine.
Un mondo tramonta e "l'altro non si sa dove sorgerà", il poeta è il Desiderio della bellezza e quotidianamente tesse "tele per attrarre ciò che svanirebbe", giovani saraceni belli come la luna, flessuosi come giunchi, in "una raggiera di complicità", in un groviglio di sguardi cari e promettenti: "tanti bei colori da tessere nelle ombre di una notte lieta", nel perenne incanto di un amore berbero.
I pischelli dalle belle nuche rasate, col loro "casco di leggeri spini da accarezzare contropelo", laeti et errabundi, son come stracci strappati dal vento: chi li raccoglie "vorrebbe mutargli l'ordito della vita". Tutta la sapienza memoriale dell'Antologia palatina, ma anche l'eco dei nudini di De Pisis o dei radiosi modelli di Hockney per sciogliere i rebus della vita nel miraggio di una poesia d'intensa trasparenza.