Continual Lessons

11 gennaio 2014

Glenway Wescott (1902-1987) fu uno scrittore di fama chiara ma piuttosto circoscritta, cui non giovò il fatto di avere scritto poche opere di stile raffinato, ma composte con una certa fatica, negli anni giovanili, e di non aver poi pubblicato più nulla per circa metà della sua lunga vita. In queste pagine del suo diario relative agli anni dal 1937 al 1955 ci s’imbatte con una certa frequenza nei tentativi disperati d’iniziare qualche racconto, presto frustrati da una paralisi assoluta dell’ispirazione: e certamente non servivano granché a Wescott gl’inviti più o meno pressanti di parenti e amici a riprendere a scrivere.
Ciò che invece continuò a fare volentieri fino agli ultimi anni di vita fu scrivere centinaia di lettere e il suo diario. Se non vado errato, questo volume non di piccola mole ne contiene soltanto una scelta (un altro volume, più piccolo, relativo agli anni successivi, è stato pubblicato soltanto quest’anno), il che ne spiega una certa lacunosità; tenuto pur conto che in un diario ciascuno scrive delle sue cose quel tanto o quel poco di cui ogni giorno gl’interessa prender nota, di alcune vicende sentimentali e biografiche importanti sembra strano che Wescott lasciasse così scarsa traccia per tanto lunghi periodi; ed è altresì curioso che molto raramente compaiano in queste pagine giudizî su opere letterarie altrui. Quello che c’è, però, rimane pur sempre d’estremo interesse letterario e umano.
Pur con le inevitabili reticenze o prudenze richieste dal fatto che, dopotutto, lo scrittore abitava sotto lo stesso tetto col fratello, la cognata e, spesso, anche quello che di fatto fu il suo compagno per tutta la vita, il direttore del MoMA Monroe Wheeler (ognuno dei due però ebbe sempre una ricca vita sessuale e sentimentale autonoma), che sulle sue carte potevano sempre arrivar a gettare lo sguardo, Wescott riferisce con una certa disinvoltura non solo delle sue plurime relazioni con diversi uomini (a volte si trattava anche di rapporti triangolari), ma anche delle sue storie più effimere o dei turbamenti provocatigli da militari o altri bei ragazzi visti in treno o sulle corriere di linea: lo scrittore americano non aveva né la patente né l’auto, e da questo punto di vista la cosa per lui era provvidenziale. Ma in queste pagine si colgono anche molte altre sfaccettature dell’uomo: ad esempio la sua attività in varie società letterarie, a dir il vero piuttosto inconcludente, il suo rapporto d’amicizia e di collaborazione col famoso Dottor Kinsey, i ricorrenti periodi di depressione: Wescott in pratica non lavorò mai, e, dopo gli anni da émigré nella magica Parigi degli Anni Venti, passò la sua vita fra l’appartamento newyorkese di Wheeler e, molto più a lungo, la fattoria di suo fratello Lloyd nel New Jersey, sostentandosi soltanto con gli occasionali guadagni che gli arrecavano articoli e conferenze, e grazie alla generosità del fratello e della ricchissima cognata; a golden cage, egli definì questa situazione in un momento di amarezza, non semplicemente a gilded cage. Il Nostro non aveva talenti da gentleman farmer; ma d’altronde nemmeno avrebbe mai saputo rinunziare a quella vita comoda sebbene ritirata, cui del resto i viaggi, i periodi a New York, le visite di Wheeler, d’innamorati, di bei ragazzi e di aspiranti scrittori portavano interruzioni salubri e vivaci. E poi c’è la bellezza stilistica del diario, scritto in un inglese vibratile, ricchissimo, iridescente di contrasti: Wescott, autore classicista, rimpiangeva l’impoverimento del linguaggio nei giovani narratori, e in queste pagine private impartisce una magnifica lezione di forma, grazie a un lessico dovizioso e a una continua, sensibile varietà di toni che ne rendono accattivante e affascinante la lettura. Ciò che lo scrittore americano non era più capace di realizzare in opere che potessero finire sotto gli occhi del mondo lo faceva, con malinconico paradosso, in quaderni che leggeva lui solo.
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autoretitologenereanno
Glenway WescottHeaven of Words, Abiografia2013