recensione diDaniele Cenci
L'agnello carnivoro
L"io" protagonista (nella penultima riga del romanzo ci dirà il suo nome: Ignacio) ha venticinque anni quando inizia questa sua confessione-fiume.
Aspetta nella dimora ancestrale il prossimo ritorno del suo "fratellamore" Antonio, partito per le lontane Americhe.
Il ricordo dell'esclusiva passione che un tempo li univa lo assedia "con la tenacia di un mendicante".
Da piccolo si scaldava al sole del suo sorriso, poi giunse l'ora dell'addio "in cui il freddo che ora mi prosciuga l'anima mi è entrato dentro di colpo".
Oggi, nell'attesa che si compia un miracolo e si ravvivi la fiamma dell'amore antico, Ignacio comincia lentamente a risvegliare memorie mai sopite, dolci e dolorose: non trascura nessuno dei dettagli carichi per lui di sortilegio, come il sapone che lo faceva impazzire sulla fraterna pelle.
Alla sua nascita Ignacio pare affetto da misteriose malformazioni: la madre, che nel suo salotto d'ombre "si trasformava in ameba", non accetta "quel mostro rannicchiato nel suo inferno cieco".
Poi, dopo sedici giorni, i suoi occhi si spalancano sul fratello Antonio, che ha già sei anni. Nell'oscura notte del franchismo, in una soffocante cappa che gela ogni anelito di vita e tutto cristalizza in un grigiore senza scampo, Antonio deciderà di farsi carico di quel cucciolo d'uomo, ne diverrà mentore e amante, lo accudirà col suo sguardo incantato e impertinente fino alla sua completa guarigione, alla sua rinascita come angelo ribelle.
La sua voce si insinuerà poi nel sangue del ragazzino e "disegnerà" la sua vera natura, lo renderà consapevole "dell'allucinante bellezza dell'accorgersi di amare ciò che si ama".
Il corpo del fratellino, delicato acquarello che rischia di svanire, sarà il suo Tempio personale, quando tutto intorno "non è che una farsa". Con lui s'immergerà "nell'altra camera", nei torridi giardini di un incontrollabile amore maschile (cfr. l'inquietante film "Il labirinto del fauno"), per sempre vaccinato dal virus dell'intolleranza, mentre intorno la Spagna muore soffocata in un "silenzio enorme, opprimente, coltivato nell'oscurità di una fungaia": nell'immobilismo stagnante della dittatura che ha trasformato il Paese in un vasto carcere muto.
Il padre saprà cogliere laconicamente l'autentica natura della loro relazione: "Formano l'unico nucleo familiare della casa, l'unica coppia... con tutti gli annessi e connessi." La madre se ne infischierà dei loro rapporti sessuali, senza però riuscire a sopportare "l'universo d'amore" in cui Antonio avviluppa Ignacio.
Nello stesso giorno in cui Ignacio quasi tredicenne riceve la sua prima comunione, il fratello Antonio, che ha ormai diciannove anni ed è completamente smarrito nei suoi liquidi occhi, stordito dal desiderio sempre più vivo e selvaggio di fondersi in lui, "sotto un sole filtrato" inizierà Ignacio in una miniera abbandonata alla suprema felicità dell'eros, cogliendo la sua verginità in pagine indimenticabili e d'intensa luminosità: "mi ha preso con un colpo di reni.
Il mio grido ha fatto fremere l'aria fitta di farfalle e su di noi si è abbattuta una pioggia di molecole dorate. [...] Ho avuto il mio primo vero orgasmo nel luogo più bello del mondo [...] su tutto dominava il volto-dio di mio fratello [...] Amavo il dolore spietato che mi imponeva e che mi portava sull'orlo del delirio.
Ma mi rendevo conto che quel delirio era l'universo che mi aveva preparato per anni..." Alla ricostruzione del puzzle e dell'enigma che grava sul loro passato concorreranno alcune lettere rivelatrici della madre, che, mentre le finanze familiari sono ormai in dissesto, all'improvviso abbandona tutto per un lungo viaggio della speranza nel tentativo di strappare il marito agonizzante (il padre 'assente') al cancro che lo rode.
Se protagonisti assoluti della storia sono i due fratelli complici-amanti che hanno ereditato "un granello di anarchia", un ruolo chiave lo gioca anche Clara (la mente va alla Betti del pasoliniano "Teorema"), una serva libertaria, simbolo della resistenza delle vittime che non si sottomettono mai al Potere, che resterà ad attenderli e, testimone del loro amore ritrovato, li unirà in simboliche nozze: "Simbiosi dei nostri corpi, domanda e risposta, questo amore assunto contro tutto, contro tutti, tu mio fratello, io tuo fratello, un essere solo." Clara - la sua vita era stata "silenziosa e profonda come un pozzo" - si mostra tenace come Ana no che, nella sua estrema vecchiaia, parte incontro al figlio seppellito nelle carceri franchiste, o come Maria Republica, eroina del secondo romanzo francese di Gómez-Arcos, una "puttana rossa" costretta a farsi monaca per espiare le sue 'colpe' comuniste e che, indomabile, finirà per appiccare fuoco al convento in cui hanno sequestrato la sua giovinezza.
I genitori di Ignacio e Antonio sembrano dei fossili viventi, degli sconfitti della Storia (la madre era riuscita in extremis a liberare e sposare Carlos, combattente repubblicano caduto in mano ai fascisti), due camaleonti che hanno imparato a dissimulare la loro disperazione, assediati da una maggioranza 'silenziosa' di preti (il mortifero parroco Gonzalo, "un delinquente sociale travestito da agnello") ed 'educastratori' (Don Pepe, costretto ad abbandonare il suo posto d'insegnante ed ora inflessibile istitutore privato), di borghesi cinici e idioti benpensanti: su tutti l'autore rovescia i suoi strali intrisi di humour nero e lucida rabbia. L' "agnello carnivoro", una minuscola pelle d'agnello col muso spalancato, che sembra divorare gli ospiti di casa, è uno dei ricordi a cui la madre è più legata: da bambina pretese per capriccio che l'agnellino dei suoi giochi non dovesse mai crescere ed ottenne dai suoi quel macabro trofeo. "Agnello carnivoro" è anche Ignacio che coniuga nel suo corpo innocenza e rivolta, una 'pecorella smarrita' che non ha accettato di reintegrarsi nel gregge.
L'Agnello carnivoro è una riflessione profonda sui traumi di una famiglia e di un intero Paese sotto il tallone di una feroce dittatura. Parla di vincitori e vinti, di affetti e disamori, scava nel tabù dell'incesto, mette a nudo il conflitto tra una Chiesa legata a doppio filo al Potere e la fragilità della fede.
L'allucinata forza del racconto richiama la carica incendiaria di certi capolavori assoluti di Buñuel o l'epopea "Terra e libertà" (1995) di Ken Loach sulla Guerra civile spagnola e sulla doppia sconfitta degli anarchici (da parte della reazione fascista e dell'ottusità stalinista). Nato in Almeria (Andalusia) il 15 gennaio 1939, nono figlio di una famiglia repubblicana, in seguito all'accanimento della censura franchista contro il suo teatro Gómez-Arcos si autoesilia nel 1966, prima a Londra e poi a Parigi, dove muore di cancro il 20 marzo 1998.
È autore di una delle opere più intense del '900 francese, che comprende una trilogia [L'agnello carnivoro (1975), Maria Republica (1976), Ana no (1977; l'ippocampo 2005)] ed altri capolavori come L'enfant pain (1983) e Un oiseau brûlé vif (1984). La traduzione di Vera Verdiani si segnala per la sua emozionante bellezza.