recensione diGiulio Maria Corbelli
Il mito di Lord Byron rivive nella biografia di Vincenzo Patané
Oggi ci sembra naturale vivere con la passione per “personaggi” e “icone”. La musica è certamente l'ambiente in cui più di ogni altro si mostrano le dive e i divi che dettano mode e forgiano il pensiero. Uomini e donne che uniscono all'abilità artistica un comportamento, una biografia, un'immagine che ne fa una leggenda. Prima che tutto ciò accadesse per i cantanti, era accaduto per gli scrittori. Ernest Hemingway è uno degli esempi più recenti: uomo di grande bellezza e dalla vita avventurosa intrisa di ambiguità sessuali. Prima di lui già Gabriele D'Annunzio aveva intrecciato una biografia fatta di festini e incursioni aeree – e pettegolezzi erotici – a una produzione letteraria venerata e odiata come oggi i dischi di Madonna. E prima ancora c'era stato Oscar Wilde di cui si ricorda la sua vita mondana quasi quanto le sue opere.
Ma il vero antesignano dello “scrittore personaggio” viene ancora prima. Dotato di una leggendaria bellezza e di un misterioso fascino, adorato dalle donne e ammirato dagli uomini (e al centro di relazioni amorose e sessuali con entrambi i generi), poeta e viaggiatore, autore di opere straordinariamente scandalose per il suo tempo e, soprattutto, protagonista di una biografia che a fatica ha potuto essere narrata con completezza in centinaia di volumi, questo “divo” prima del “divismo” è Lord George Gordon Byron, l'autore del Manfred, del Corsaro e del Don Juan, di cui ora l'editore Cicero pubblica una monumentale biografia di Vincenzo Patané intitolata L'estate di un ghiro. Il mito di Lord Byron attraverso la vita, i viaggi, gli amori, le opere. Il volume sarà presentato lunedì 13 gennaio alle ore 16 alla Keats Shelley House di Piazza Navona, a Roma, alla presenza di Patanè e di Masolino D'Amico, autore dell'introduzione.
In oltre 500 pagine Patanè ricostruisce la vita breve ma intricatissima del poeta inglese. Nato a Londra nel 1788, Byron visse solo 36 anni di cui gli ultimi otto trascorsi in esilio fuori dall'Inghilterra. Ma già a 21 anni era partito per il Grand Tour, un viaggio di due anni nei paesi della classicità allora in voga tra i nobili anglosassoni. Nel 1815 sposa Annabella Milbanke, religiosa, moralista e appassionata di matematica (tanto che lui la chiamerà la “Principessa dei Parallelogrammi”). Un carattere più diverso da quello del poeta non si poteva immaginare. E infatti il matrimonio naufraga presto: l'anno seguente Annabella lascia la casa di Byron insieme alla figlia Augusta nata nel frattempo spinta dalle voci sempre più insistenti in società sulla incestuosa relazione del marito con la sorellastra Augusta, oltre a quelle relative alle numerose relazioni omosessuali...
Nella sua opera, Patanè sceglie di non tracciare la biografia di Lord Byron ordinandola secondo la cronologia, ma districandone le singole componenti. Un modo per ricostruire una immagine quantomai complessa: vissuto come un “bel tenebroso” già dai suoi tempi, Byron aveva lottato contro una malformazione a un piede subìta alla nascita curando maniacalmente il proprio aspetto. Sport e dieta, abbigliamento ricercato e uso strategico dello sguardo erano gli strumenti da lui usati per creare a tavolino l'immagine di un “misantropo, sensuale e peccatore”. Una potente personalità ha fatto il resto: la soggezione che la sua presenza incuteva non appena entrava in una stanza si è tramandata fino a noi, mantenendo inalterata la byronmania che ancora oggi contagia migliaia di giovani.
Naturalmente un ampio capitolo del libro è dedicato all'attrazione per i giovanetti: sebbene Patanè spieghi che Byron “consumò rapporti sessuali solo con ragazzi e mai con uomini adulti”, nel volume si narrano relazioni quanto meno sospette ad esempio con il domestico William Fletcher, sicuramente più anziano del poeta di almeno 5 o 10 anni, o di quella con Ali Pascià, il dispotico governatore dell'Albania che non nascondeva un'irresistibile attrazione per il nobile visitatore giunto dall'Inghilterra. In effetti, fu proprio durante il suo Grand Tour che Byron poté vivere liberamente la propria indole, costretto com'era a rivelarla in Patria solo agli amici intimi che con lui la condividevano. L'atmosfera perbenista dell'Inghilterra di inizio Ottocento, infatti, non avrebbe tollerato uno scandalo di questa portata. E fu proprio questo, in effetti, nel 1816 a costringere Byron ad abbandonare definitivamente il suo paese per il Sud.
L'estate di un ghiro di Vincenzo Patanè è definito da Masolino D'amico “un libro insolito e importante, perché fa il punto sul caso Byron riannodandone tutte – davvero tutte! - le fila con pazienza e competenza, e non senza umorismo”. Ampio e complesso, non sempre di agevole lettura ma spesso sorprendente e affascinante come il protagonista al centro della narrazione, il volume oltre ad essere uno strumento indispensabile per chi è già appassionato all'opera e alla vita di Lord Byron, potrà essere un veicolo per molte persone per avvicinarsi a un mito che, a distanza di duecento anni, non accenna a sbiadire.