recensione diMauro Giori
Marécages
Tante vacche e poche parole, un protagonista gay, un fratello morto, un rapporto difficile con un padre che tira le cuoia, un certo interesse per un aiutante aitante: ecco cosa hanno in comune Marécages e Boven is het stil. Solo che qui siamo in Canada anziché in Olanda, il protagonista anziché cinquantenne non ha ancora vent’anni e ci sono anche una madre un po’ problematica e una nonna lesbica che vive con la sua compagna. Ma queste sono differenze tutto sommato triviali.
Se le premesse sono quasi identiche, il risultato non potrebbe essere più diverso: Marécages non riesce a farsene nulla di tutto questo materiale. I silenzi non contengono suggestione ma solo noia; il protagonista non ha profondità da sondare fra le rughe del volto ma solo il vuoto che sta tutto nel suo costante broncio adolescenziale; i drammi sono quelli banali e prevedibili della crisi economica e della provincia, senza nessuna eco ancestrale; il finale vorrebbe essere enigmatico ma giunge troppo tardi per redimere una lunga storia senza interesse. Nel rapporto tra padre e figlio non vi è alcuna sottigliezza, ma solo un Edipo rustico consumato tra il letame e l’acqua del bagno riciclata. L’eros non contiene nessun mistero, nessuna nostalgia, ma solo l’evidenza della banalità più sgraziata, con sgocciolamenti in dettaglio e voyeurismi consumati senza astuzia. Anche il personaggio della nonna e della sua compagna sono abbandonati sullo sfondo senza nessuno sviluppo.
Insomma, tanto Boven is het stil premia l’intelligenza dello spettatore tramite suggestioni evocate tra le pieghe di un racconto ostinatamente reticente, tanto Marécages non lascia nulla nella penna, concentrandosi però solo sugli eventi più triti e trascurando gli spunti più interessanti (in potenza). Il risultato è dimenticabile.